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Spazio, innovazione e difesa: voci dalla seconda edizione della AeroSpace Power Conference

L’8 e 9 maggio 2025, Roma ha ospitato la seconda edizione dell’AeroSpace Power Conference, organizzata dall’Aeronautica Militare italiana in collaborazione scientifica con l’Istituto Affari Internazionali. Un appuntamento esclusivo che ha riunito oltre 1.500 partecipanti tra vertici militari, rappresentanti delle istituzioni, accademici, esperti e professionisti del settore aerospaziale.

In questo episodio, raccogliamo una serie di interviste realizzate durante la conferenza con alcuni dei suoi protagonisti. Attraverso le loro voci, esploreremo temi cruciali come l’innovazione tecnologica, la sostenibilità nel settore della difesa, la centralità dello spazio e le prospettive dell’Italia nel quadro della cooperazione internazionale.

In ordine di intervento, ascolteremo:

  • Generale Luca Goretti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare;
  • Valter Villadei, astronauta e pilota colonnello dell’Aeronautica Militare;
  • Massimo Comparini, Managing Director della Space Division di Leonardo;
  • Teodoro Valente, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana;
  • Lorenzo Mariani, Executive Group Director Sales & Business Development di MBDA e Managing Director di MBDA Italia.

Transizione giusta e diplomazia climatica: necessarie per il successo nazionale ed internazionale

Le politiche climatiche contengono una forte componente sociale. Il Green Deal europeo ha rappresentato la visione climatica ed economica europea degli ultimi anni. Tuttavia, i governi devono implementarlo in maniera attenta ed equilibrata per poter raggiungere i target preservando il supporto politico e pubblico. Se da un lato, infatti, la transizione energetica potrebbe contribuire a un risultato netto positivo in termini di creazione di posti di lavoro a livello macro (insieme a co-benefici a livello locale), la decarbonizzazione causerà anche effetti negativi e regressivi a livello micro, data l’alta concentrazione di industrie e occupazioni ad alta intensità di emissioni. Poiché il bilancio della transizione non è in bianco e nero, richiederà un’attenta calibrazione delle politiche pubbliche.

La paura degli effetti regressivi, in primis la perdita di lavoro, è uno dei fattori frenanti delle politiche climatiche. Per questo, i governi potrebbero essere tentati di rallentare la decarbonizzazione con l’obiettivo di prevenire gli esiti regressivi della transizione verde. Tuttavia, è importante sottolineare che la politica climatica non sia l’unica causa delle disuguaglianze, ma certamente aggiunge un livello di complessità a un modello già fragile, caratterizzato da disuguaglianze elevate e crescenti causate da trasformazioni significative guidate dalla digitalizzazione, dalla globalizzazione e dalla concorrenza internazionale.

In questo contesto, i governi hanno interesse a progettare una strategia di transizione giusta più completa che affronti le fragilità esistenti dell’attuale sistema come componente integrante della progettazione della decarbonizzazione industriale. Inoltre, una strategia di transizione giusta non può essere limitata al livello nazionale dei paesi sviluppati, ma anche nei paesi in via di sviluppo che sono fortemente esposti ai costi della transizione e della crisi climatica. Integrare la transizione giusta nella politica estera garantirebbe nuove opportunità di cooperazione con paesi chiave in un periodo di crescente competizione geoeconomica e industriale. Queste considerazioni sono particolarmente rilevanti sia per l’Unione Europea che per l’Italia.

L’Europa alla prova: verso una nuova strategia sociale industriale

L’UE dovrebbe definire una nuova strategia sociale industriale in parallelo al suo Clean Industrial Deal, in modo da favorire la dimensione della transizione giusta. Negli anni, l’UE ha creato strumenti e meccanismi importanti, ma non sufficienti alle sfide che la aspettano.

Una necessaria riforma riguarda i limiti chiave dell’attuale quadro regolatorio, che manca di un approccio olistico.  Ad esempio, il Just Transition Mechanism è troppo ristretto e caratterizzato da approccio territoriale. È quindi essenziale includere un approccio più ampio che copra i settori industriali chiave che saranno profondamente influenzati dalla transizione, come le industrie ad alta intensità energetica e il settore automobilistico.

La seconda area di modifica è quella legata agli investimenti. Data la scala e la portata della sfida della decarbonizzazione, nuove risorse sono essenziali. Per questo, la dimensione sociale dovrebbe essere un pilastro chiave del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), nel tentativo di affrontare anche le disparità di spazio fiscale tra gli Stati membri. L’UE dovrebbe allocare risorse finanziarie ai programmi di formazione e sviluppo delle competenze per facilitare la mobilità del lavoro insieme ad altre politiche complementari (curricula educativi).

Il caso italiano: colmare i ritardi e potenziare le competenze

Nel caso italiano, il governo dovrebbe ridurre disallineamenti e obiettivi contrastanti tra documenti politici e programmatici in modo da promuovere un approccio olistico verso la transizione giusta. Inoltre, il paese ha bisogno di migliorare il proprio quadro regolamentare e di governance per sfruttare appieno le risorse finanziarie esistenti per i progetti, che hanno subito ritardi nel caso del Fondo per la Transizione Giusta.

L’Italia dovrebbe potenziare i programmi di sviluppo delle competenze e i fondi per sostenere i lavoratori e rivedere i propri curricula educativi per aumentare le materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), che sono ancora poco sviluppate. A questo scopo sono necessarie una serie di politiche per affrontare le incertezze del mercato del lavoro, specialmente nelle regioni meridionali dove i lavoratori sono più esposti alla transizione energetica

Diplomazia climatica: trasformare la transizione in opportunità globale

Come detto, la transizione giusta può essere anche un pilastro per la diplomazia climatica ed energetica europea – soprattutto alla luce delle sfide energetiche-economiche europee e l’evoluzione geopolitica.

Ad oggi, l’attuale strategia diplomatica europea ha registrato alcune carenze che hanno minato lo sforzo delle molteplici iniziative e partenariati causando risultati contrastanti e frustrazioni nei paesi terzi. La prima carenza è la mancanza di una governance chiara e un coordinamento tra Stati-Ue e tra le diverse direzioni generali della Commissione europea

L’occasione per migliorare la governance e il coordinamento è data dalle Clean Trade and Investment Partnership (CTIPs) e Trans-Mediterranean Energy and Clean Tech Cooperation Initiative, previsti nel Clean Industrial Deal come strumenti per raggiungere la decarbonizzazione e la competitività preservando la cooperazione.

Nonostante la transizione giusta non sembri essere esplicitamente integrata in queste misure, queste nuove iniziative rappresentano un test cruciale per la diplomazia climatica dell’UE per favorire una transizione giusta in regioni strategiche. Infatti queste iniziative possono essere strumenti positivi per costruire partnership vantaggiose con paesi terzi, a partire da quelli MENA (Medio Oriente e Nord Africa) e africani, se l’UE integrerà il trasferimento di tecnologia, lo sviluppo di capacità e programmi di formazione per le comunità locali oltre agli accordi energetici e minerari.

Un test importante sarà la cooperazione in merito all’idrogeno coi paesi MENA e africani. Quest’area, strategica per l’UE, ha un grande potenziale di risorse rinnovabili che potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo industriale sostenibile. L’UE dovrebbe garantire investimenti lungo la catena del valore, ma anche collaborare con i suoi partner per stimolare la domanda, definendo standard comuni volti a creare un mercato e limitare gli impatti negativi. Allo stesso tempo, queste regioni trarrebbero grande beneficio da queste iniziative in quanto creerebbero prodotti di esportazione ad alto valore aggiunto, favorendo la creazione di posti di lavoro e maggiori ritorni economici per le loro popolazioni giovani e in crescita.

Tale condizione offre un’opportunità per l’Italia di rafforzare il proprio ruolo nella definizione dei futuri partenariati UE-Africa ampliando il suo Piano Mattei. La definizione dei prossimi CTIPs e dell’iniziativa Trans-Med è un’opportunità per l’Italia di essere un attore proattivo e influente nei progetti coordinati nei paesi parte del Piano Mattei. Collaborando e facendo economie di scale, l’Italia potrebbe anche superare i propri limiti finanziari. Per far ciò, Roma dovrebbe puntare a creare piattaforme e punti di contatto nell’ambito del Piano Mattei per riunire le istituzioni e gli Stati membri dell’UE e i paesi africani. La vicinanza geografica e le già presenti infrastrutture e le relazioni energetiche economiche con molti di questi paesi danno la possibilità all’Italia di promuovere partenariati anche su questioni chiave, come l’idrogeno e le emissioni di metano attraverso programmi di formazione, standard condivisi e best practices dal suo settore pubblico e privato.

L’industria italiana alla sfida verde: il dilemma tra competitività e decarbonizzazione

Il Green Deal europeo è ormai entrato in una nuova fase cruciale, in cui competitività e sicurezza economica assumono maggior rilevanza. Con la presentazione del Clean Industrial Deal, la Commissione Europea ha delineato le sue nuove priorità dettate dall’interazione tra politica industriale, competitività e decarbonizzazione alla luce della competizione geopolitica e le crisi energetiche e climatiche.

Oltre a favorire le nuove tecnologie, i governi devono considerare misure per trasformare e proteggere le proprie industrie esistenti in conformità con gli obiettivi di zero emissioni nette, preservando al contempo la competitività e garantendo la sicurezza economica attraverso la capacità manifatturiera. Per far tutto ciò, i dibattiti (e le divisioni) riguardo alla disciplina fiscale e alla creazione di fondi comuni europei riemergono.

Il dilemma è particolarmente evidente per le industrie ad alta intensità energetica. La loro trasformazione sarà essenziale per il raggiungimento della decarbonizzazione, rappresentando circa il 22% delle emissioni di gas serra dell’UE, ma i governi stanno lottando per garantire anche la loro competitività rispetto ai concorrenti internazionali a causa dei prezzi più elevati dell’energia e alla presenza dell’Emission Trading System europeo.

Anche nel contesto italiano, le industrie difficili da decarbonizzare, le cosiddette hard to abate, giocano un ruolo decisivo dal punto di vista sociale, economico ed energetico-ambientale. Per questo, per poter trasformare tali industrie, l’Italia deve perseguire una combinazione di soluzione: favorendo l’elettrificazione laddove possibile, riducendo le emissioni di metano relative al consumo di gas, il crescente utilizzo sostenibile di idrogeno e lo sviluppo della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS).

Elettrificazione: il vantaggio competitivo dell’Italia in Europa

L’elettrificazione copre già una quota rilevante del consumo energetico industriale in Italia. Nel 2022, l’elettricità è stata la principale fonte per il settore industriale, rappresentando il 44% del consumo, seguita dal gas naturale (33%). Grazie ai più alti livelli di elettrificazione tra i maggiori paesi europei, l’industria italiana ha uno dei posizionamenti migliori tra i paesi UE27 rispetto all’intensità energetica e carbonica finale per unità di valore aggiunto. Tuttavia, l’Italia deve accelerare l’installazione di impianti rinnovabili, rimuovendo i ritardi autorizzativi e fornendo un quadro normativo chiaro e coerente.

Gas naturale: dipendenza e opportunità nella transizione

Poiché la maggior parte delle emissioni del settore industriale proviene dalla combustione, è necessaria una valutazione del ruolo dell’approvvigionamento energetico e in particolare del gas naturale. Il gas gioca un ruolo centrale all’interno del sistema energetico italiano, rappresentando il 40% del consumo energetico e il 50% del consumo elettrico. Tale ruolo è previsto che rimarrà rilevante in base all’ultima versione del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). Tuttavia, l’Italia deve scontare una forte dipendenza dalle importazioni. Dunque è necessaria una strategia internazionale che tenga conto delle emissioni di metano – una delle azioni più rapide, efficaci e meno costose per l’Italia per accelerare la transizione rafforzando, allo stesso tempo, anche la propria competitività industriale. La riconfigurazione dei flussi e la crescente rilevanza dei paesi MENA (Medio Oriente e Nord Africa) offre un’opportunità per affrontare questa pressante questione ambientale in un’area strategica come il Mediterraneo.

La scommessa dell’idrogeno: sviluppo sostenibile nel Mediterraneo

Per decarbonizzare le molecole nel lungo periodo, l’Italia deve dare priorità all’uso dell’idrogeno pulito dove l’elettrificazione più efficiente non è fattibile. A novembre 2024, l’Italia ha adottato la sua prima strategia nazionale per l’idrogeno, che prevede diverse traiettorie data l’incertezza sul suo sviluppo e le potenziali migliori prestazioni di altre tecnologie.

Nello sviluppare le necessarie rotte ed infrastrutture per l’approvvigionamento dell’idrogeno, è necessario che l’Italia tenga conto ed affronti i potenziali impatti climatici dell’idrogeno. Infatti, è cruciale limitare non solo le emissioni di anidride carbonica e metano, ma anche le emissioni di idrogeno, poiché l’idrogeno stesso è un gas serra indiretto con potenti impatti di riscaldamento. Infine è doveroso ridurre quanto possibile i rischi ambientali e socioeconomici associati ai sistemi a idrogeno (anche nei paesi terzi). Questo è ancora più rilevante se si tiene conto della possibilità di trasferimenti di capacità manifatturiera fuori dall’Europa a causa delle già citate sfide energetiche. Tuttavia, tale sfida può presentare un’opportunità per l’Italia nel guidare la cooperazione Euro-mediterranea garantendo progetti volti allo sviluppo industriale e l’integrazione delle catene del valore.

CCS: colmare il divario con il Nord Europa partendo da Ravenna

Lo sviluppo della cattura e stoccaggio del carbonio ha riacquistato una rinnovata rilevanza politica perché i governi mirano ad accelerare la transizione energetica preservando al contempo le capacità industriali esistenti. La tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage) permette di catturare l’anidride carbonica prodotta da impianti industriali e centrali elettriche prima che venga rilasciata nell’atmosfera, per poi trasportarla e immagazzinarla permanentemente nel sottosuolo.

A livello europeo si può notare un certo divario tra il Mare del Nord e il Mediterraneo in termini di sviluppi CCS; divario che l’Italia ha la possibilità di ridurre. Il PNIEC infatti riconosce un ruolo strategico al progetto di Ravenna, che dovrebbe catturare le emissioni dei settori hard-to-abate.

Strategie per il futuro: sussidi mirati e fondi europei

L’Italia avrà bisogno di una combinazione di misure che favorisca la trasformazione delle industrie energivore esistenti all’interno dei confini europei e nazionali alla luce delle possibili soluzioni tecnologiche ed economiche. Allo stesso tempo, l’Italia deve definire una politica industriale ed estera capace di gestire in maniera ordinata il possibile outsourcing della produzione verso regioni con costi energetici più bassi.

L’allocazione di sussidi volti alla protezione dei produttori nazionale dovrà essere attentamente valutata in base a criteri chiari, come la rilevanza economica (effetti cluster) e la resilienza economica (evitando nuove dipendenze su settori/prodotti critici) – anche alla luce delle ristrettezze fiscali.

Nel trovare un nuovo equilibrio, l’Italia deve lavorare con l’UE nella definizione di priorità, standard e nella creazione di nuovi strumenti, anche relativi agli investimenti, in modo da evitare la frammentazione del mercato europeo. L’Italia deve lavorare alla costruzione di criteri e standard per proteggere i produttori nazionali e esternalizzare parte della produzione. Gli sviluppi positivi e gli sforzi in termini di riduzione dell’intensità di CO2 dovrebbero essere riconosciuti e valorizzati nella progettazione delle caratteristiche per i mercati verdi. Dati i diversi spazi fiscali e gli investimenti necessari per raggiungere la decarbonizzazione, saranno necessari fondi comuni e stabili a livello UE – specialmente per l’Italia. Per poter ottenere ciò, la politica industriale ed energetica dovrà essere definita in maniera chiara, oltre che dimostrare la propria capacità di spendere adeguatamente i fondi esistenti.

Libia: urgente un rinnovato impegno europeo

I recenti scontri a Tripoli a seguito dell’uccisione, il 12 maggio scorso, di Abdul Ghani al-Kikli (detto “Ghaniwa”) capo della milizia Stability Support Apparatus (SSA), hanno riaperto scontri tra fazioni rivali nella capitale libica. Accusato di vari crimini, tra cui assassinii, torture e altre violazioni di diritti umani, al-Kikli controllava l’importante quartiere tripolino di Abu Selim, e la sua uccisione è scaturita dalle rivalità interne tra milizie affiliate al primo ministro del Governo di Unità Nazionale (GNU), Abdul Hamid Dbeibah. Al momento, la situazione pare di nuovo sotto (precario) controllo del governo di Tripoli. Ma notizie di spostamenti di altri gruppi armati all’esterno della capitale, da Zawiya e dall’Est controllato dal generale Khalifa Haftar, hanno fatto temere un conflitto più ampio.

È chiaro, dunque, che la situazione in Libia richiede una rinnovata attenzione da parte della comunità internazionale. Non solo per stabilizzare, ma per sostenere strategicamente il processo guidato dalle Nazioni Unite in un Paese a rischio di collasso. Come ha recentemente sottolineato presso il Consiglio di sicurezza la Rappresentante Speciale del’ONU in Libia, Hanna Tetteh, il sostegno internazionale è essenziale per una svolta politica. Con le istituzioni libiche frammentate, i gruppi armati radicati nell’economia e la Russia che sta rafforzando la sua posizione, un’azione unitaria dell’Europa è vitale, non solo per il futuro della Libia, ma per quello dell’intera regione.

Pur nel linguaggio diplomatico dell’ONU, il recente rapporto del Segretario generale critica fortemente le autorità libiche—sia il GNU riconosciuto dall’ONU che il suo rivale a Est—per il perpetuarsi delle divisioni istituzionali e politiche, che ostacolano la governance e favoriscono l’instabilità. La situazione economica è tra le preoccupazioni principali, a seguito dell’acquisizione forzata della Banca centrale libica (CBL) nel 2024. Nonostante l’aumento della produzione di petrolio, l’economia libica sta ancora risentendo della crisi irrisolta della CBL e dell’ondata di sanzioni internazionali che ne è seguita.

Esiste ovviamente un legame diretto tra il quasi collasso economico e il ruolo dei gruppi armati, radicati nell’economia energetica libica. Questi gruppi dominano zone economiche chiave, incluse strutture petrolifere e valichi di frontiera, traendo profitto dal contrabbando di carburante e dal racket di protezione, e assorbendo risorse statali. L’ONU documenta come le fazioni armate operino nell’economia informale, in particolare a Tripoli, Misurata e nelle città occidentali, sfruttando sussidi energetici e ricavi doganali. Allo stesso modo, le Forze Armate Arabe Libiche (LAAF) e altri gruppi fedeli a Haftar traggono vantaggi da attività illecite e traffici attraverso il controllo dei principali terminal petroliferi, di confini e corridoi del contrabbando nell’est e nel sud del Paese.

Il rapporto ONU fornisce anche informazioni su migrazione illegale e tratta di esseri umani, perpetrata da gruppi armati libici, sia a ovest che a est, con la complicità diretta o indiretta delle autorità statali. Per quanto i leader libici implicati nel crimine guadagnino molto più dal contrabbando di carburante, droga e armi che non dal traffico di migranti, hanno un interesse politico a soddisfare le richieste di governi europei (Italia inclusa) in materia migratoria in cambio di riconoscimento: una strategia che consente loro di restare al potere.

Oltre alle sfide rappresentate da un Paese instabile e mal governato come la Libia per la sicurezza dell’Europa e del Mediterraneo, sviluppi internazionali recenti rendono ancora più urgente un impegno UE. La Russia, presente in Libia da anni sia diplomaticamente che attraverso i mercenari del Gruppo Wagner (ribattezzato Africa Corps), ha recentemente compiuto una svolta strategica, trasferendo truppe e attrezzature dalla Siria alla Libia. I mercenari russi sono coinvolti in attività illecite, come il contrabbando di droga e l’estrazione di minerali. Attraverso una presenza politica, militare ed economica sempre più radicata, allineata con Haftar, Mosca mira a perseguire obiettivi strategici più ampi in Africa: accesso militare, influenza energetica e leva geopolitica contro l’Occidente.

Pertanto, l’UE dovrebbe adottare misure più decise per sostenere la missione UNSMIL nel promuovere elezioni, stabilizzare l’economia, proteggere i diritti umani e affrontare le crisi umanitarie e migratorie. Un impegno europeo coordinato è non solo cruciale per sostenere la stabilità e porre fine all’illegalità, ma anche per contrastare la strategia russa verso il sud del continente africano. Inoltre, l’ambiguità strategica dell’attuale amministrazione statunitense nei confronti della Russia e il suo approccio incoerente in Libia confermano che, non solo sul continente europeo, l’Europa deve fare affidamento sui propri mezzi per affrontare l’aggressivo espansionismo di Mosca.

Le contromisure europee presuppongono che i singoli membri dell’UE abbandonino i loro interessi concorrenti in Libia, che hanno a lungo indebolito l’azione internazionale. Oltre a sostenere con decisione gli sforzi dell’UNSMIL, l’UE dovrebbe fornire una leadership diplomatica aggiuntiva, investimenti finanziari e supporto tecnico mirato, al fine di offrire alternative credibili e sostenibili al popolo libico. A livello economico, l’UE potrebbe ampliare l’assistenza tecnica alla CBL e ad altre istituzioni finanziarie per sostenere l’unificazione del bilancio e riforme anticorruzione.

Inoltre, l’UE dovrebbe migliorare il coordinamento tra gli attori della sicurezza libici, incoraggiando il disarmo delle milizie e promuovendo strategie di riforma per l’unificazione istituzionale. Sulla migrazione, pur tra le difficoltà del clima politico europeo attuale, soluzioni dovrebbero includere l’espansione di percorsi sicuri e legali per i richiedenti asilo, come corridoi umanitari e programmi di integrazione. Smantellare seriamente le reti di traffico di esseri umani e sviluppare meccanismi di protezione comunitaria impone di evitare accordi con politici che traggono profitto dal traffico di esseri umani, nonché garantire l’accesso illimitato dell’ONU e delle ONG a tutti i centri di detenzione.

Per indebolire il ruolo della Russia in Libia occorre, ad esempio, espandere l’Operazione IRINI, la missione navale UE che fa rispettare l’embargo ONU sulle armi in Libia. Questo aiuterebbe a contrastare i traffici illegali di armi (molti dei quali legati agli interessi russi), ma anche a rafforzare lo scambio di intelligence e la sorveglianza sulle attività dei mercenari russi. Andrebbero inoltre avviate iniziative per contrastare la disinformazione russa e sostenere la società civile e le organizzazioni mediatiche libiche nel resistere alle narrazioni promosse dai media russi. Tali azioni potrebbero ricevere supporto dalla NATO, o da singoli membri dell’Alleanza. In generale, una revisione delle strategie regionali UE, da tempo in discussione, dovrebbe puntare a ristrutturare e rafforzare i partenariati con i vicini nordafricani della Libia, come Algeria ed Egitto, ed a cooperare con altri attori coinvolti e potenti, come la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti.

 

* Andrea Cellino è vicepresidente del Middle East Institute Switzerland ed Executive-in-Residence del Geneva Centre for Security Policy.

Vertice a Istanbul tra Zelensky, Putin e Trump? Scenario incerto e prospettive limitate

Nathalie Tocci, Direttrice dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), è intervenuta a Spazio Transnazionale, la trasmissione condotta da Francesco De Leo su Radio Radicale.

Durante l’intervento ha fatto il punto sul conflitto in Ucraina, sottolineando i tentativi dell’amministrazione Trump di avviare negoziati. Tocci ha espresso dubbi sulla possibilità di un prossimo incontro a Istanbul tra Zelensky, Putin e Trump, ritenendo improbabile che il presidente russo sia realmente interessato a un cessate il fuoco. Nel corso dell’intervista, ha inoltre condiviso alcune riflessioni sul suo recente viaggio in Ucraina.

Il viaggio di Trump nel Golfo: verso una nuova alleanza tra USA e Arabia Saudita

Maria Luisa Fantappiè, responsabile del Programma Mediterraneo, Medioriente e Africa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), è intervenuta a Spazio Transnazionale, la trasmissione condotta da Francesco De Leo su Radio Radicale.

Fantappiè ha commentato la visita di Donald Trump nei Paesi del Golfo, sottolineando come essa rappresenti una scommessa per costruire una relazione tra Arabia Saudita e Stati Uniti analoga a quella che Washington intrattiene con Israele. Un cambiamento strategico da parte dell’Arabia Saudita, che punta a diventare — insieme a Israele — uno degli alleati fondamentali degli Stati Uniti nella regione.

La Corte internazionale di giustizia respinge la richiesta del Sudan di misure provvisorie nei confronti degli Emirati Arabi Uniti

La Corte internazionale di giustizia, con ordinanza depositata il 5 maggio, ha respinto la richiesta di misure provvisorie avanzata dal Sudan in base all’articolo 41 dello Statuto nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, accusati dal Governo sudanese di complicità nel genocidio nel Darfur occidentale a causa del supporto fornito dagli Emirati Arabi alle Forze paramilitari di supporto rapido (Rapid Support Forces, RDF) nella guerra civile in corso da due anni (ordinanza).

Perché la CIG respinge la richiesta di misure provvisorie?

La decisione della Corte è dovuta alla constatazione da parte dei giudici internazionali dell’assenza di giurisdizione a causa della riserva apposta dagli Emirati Arabi al momento della ratifica della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948 (qui l’elenco dei Paesi ratificanti con le riserve https://treaties.un.org/pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-1&chapter=4). In particolare, gli Emirati, nel 2005, avevano posto una riserva (al pari di altri 16 Stati) all’articolo IX escludendo la giurisdizione della Corte circa l’interpretazione, l’applicazione e l’esecuzione della Convenzione, incluse le controversie sulla responsabilità degli Stati per atti di genocidio. 

Per la Corte, tenendo conto che le misure possono essere disposte solo se sussiste la giurisdizione prima facie della Corte e che la riserva degli Emirati non pone alcun dubbio interpretativo, ha escluso la propria competenza e ha disposto la cancellazione dal ruolo della causa proprio perché non vi è un fondamento giuridico che legittimi la giurisdizione della Corte. Detto questo, però, i giudici internazionali hanno osservato che al di là dell’assenza di giurisdizione e dell’impossibilità di pronunciarsi nel merito, ordinando così la rimozione del caso dall’elenco dei procedimenti, gli Stati parte sono tenuti a rispettare gli obblighi stabiliti dalla Convenzione per non incorrere in un illecito internazionale.

L’ordinanza e la decisione di rimuovere il caso dal ruolo

L’ordinanza è stata adottata con 14 voti favorevoli e due contrari (si tratta del giudice Yusuf (Yusuf) e del giudice ad hoc Simma che ha allegato una dichiarazione Dichiarazione Simma). La Corte si è invece spaccata sulla decisione di rimuovere il caso dal ruolo, scelta effettuata con 9 voti favorevoli e 7 contrari (opinioni, Robledo).

Robert Francis Prevost è diventato Papa Leone XIV

Robert Francis Prevost è diventato Papa Leone XIV dopo che i cardinali di tutto il mondo lo hanno scelto come primo leader americano degli 1,4 miliardi di cattolici del mondo. Una folla di decine di migliaia di persone è esplosa in preghiera e commozione quando Leone, successore del defunto Francesco, si è affacciato al balcone della Basilica di San Pietro per pronunciare il primo discorso del suo ministero.

“A tutte le persone, ovunque si trovino, a tutti i popoli, a tutta la Terra, la pace sia con voi”, ha detto un sorridente Leone alla folla. “Aiutateci a costruire ponti attraverso il dialogo, attraverso l’incontro, per unirci come un unico popolo, sempre in pace”.

Il discorso di Leone è stato accolto con applausi, soprattutto quando il prelato – che ha trascorso molti anni in Perù – ha parlato in spagnolo, e anche quando ha reso un caloroso omaggio al suo popolare predecessore Papa Francesco, morto il mese scorso. “Abbiamo ancora nelle orecchie la voce debole, ma sempre coraggiosa, di Papa Francesco che benedice Roma”, ha detto, riferendosi al discorso della domenica di Pasqua dell’argentino malato, un giorno prima della sua morte. “Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce ponti, che dialoga, che è sempre aperta”.

Un grande onore

Il nome dell’americano era circolato tra i “papabili” – cardinali ritenuti qualificati per il papato – come qualcuno che potesse difendere e portare avanti l’eredità di Francesco. Ma non era una figura riconosciuta a livello mondiale tra i cattolici. I leader mondiali si sono affrettati ad accogliere la sua nomina e a promettere di lavorare con la Chiesa su questioni globali.

Come cardinale Prevost, il nuovo papa aveva difeso i poveri e i diseredati, spesso ripostando articoli critici nei confronti delle politiche anti-migranti del presidente statunitense Donald Trump, ma il capo della Casa Bianca ha comunque accolto con favore l’elezione. “Congratulazioni al cardinale Robert Francis Prevost, che è stato appena nominato Papa”, ha detto Trump in un post sulla sua piattaforma di social media. “È un tale onore rendersi conto che è il primo Papa americano. Che emozione e che grande onore per il nostro Paese”.

In precedenza, la folla si era emozionata quando dal camino della Cappella Sistina era uscito del fumo bianco che segnalava l’elezione nel secondo giorno di votazioni dei cardinali.

Le campane della Basilica di San Pietro e delle chiese di tutta Roma hanno suonato a festa e la folla si è precipitata in piazza per guardare il balcone della basilica, che è stato allestito con tende rosse per il primo discorso al mondo del 267° Papa, che è stato introdotto in latino con il nome papale scelto.

“È una sensazione incredibile”, ha detto un euforico Joseph Brian, un cuoco di 39 anni di Belfast, nell’Irlanda del Nord, venuto a Roma con sua madre per assistere allo spettacolo. “Non sono una persona troppo religiosa, ma essere qui con tutte queste persone mi ha lasciato senza fiato”, ha detto all’AFP mentre la gente intorno a lui saltava per l’eccitazione. Ci sono state scene euforiche quando un sacerdote si è seduto sulle spalle di qualcuno sventolando una bandiera brasiliana e un altro ha sollevato in aria un pesante crocifisso in segno di giubilo.

“Habemus Papam”

“Habemus papam, woooo!” ha esclamato Bruna Hodara, 41 anni, brasiliana, facendo eco alle parole che sarebbero state pronunciate sul balcone al momento della presentazione del nuovo Papa. Lei, come altri, ha registrato il momento storico sul suo telefono, mentre altri sventolavano bandiere e gridavano “Viva il Papa!” in italiano.

“È un’opportunità unica nella vita essere qui a vedere il Papa. È davvero speciale… Sono emozionato!” ha detto Florian Fried, un quindicenne di Monaco, in Germania.

Francesco è morto all’età di 88 anni dopo un papato di 12 anni durante il quale ha cercato di forgiare una Chiesa più compassionevole – ma ha provocato la rabbia di molti conservatori con il suo approccio progressista.

Leone XIV si trova ora di fronte a un compito epocale: oltre a far valere la sua voce morale su un palcoscenico globale dilaniato dai conflitti, deve cercare di unire una Chiesa divisa e affrontare questioni scottanti come le continue conseguenze dello scandalo degli abusi sessuali.

Non si sa quante votazioni siano state necessarie per eleggere il nuovo Papa, ma il conclave ha seguito la storia recente concludendosi in meno di due giorni. Anche se i dettagli dell’elezione rimarranno per sempre segreti, il nuovo papa ha dovuto ottenere almeno i due terzi dei voti per essere eletto.

Pastore o diplomatico

L’elezione è avvenuta in un momento di grande incertezza geopolitica, che è stata considerata una questione chiave per il voto, insieme alle spaccature all’interno della Chiesa.

Francesco è stato un riformatore compassionevole che ha dato priorità ai migranti e all’ambiente, ma ha fatto arrabbiare i tradizionalisti che volevano un difensore della dottrina piuttosto che un personaggio da prima pagina.

Circa l’80% dei cardinali elettori è stato nominato da Francesco. Provenendo da 70 Paesi del mondo, è stato il conclave più internazionale di sempre. L’insediamento papale avviene solitamente meno di una settimana dopo l’elezione, con una messa celebrata davanti a leader politici e religiosi di tutto il mondo.

© Agence France-Presse

La campagna di sabotaggi russi in Europa interessa anche l’Italia

Nel corso del 2024 le agenzie di intelligence occidentali hanno lanciato l’allarme sull’aumento delle operazioni clandestine condotte dal regime russo in Europa. In particolare, si sono moltiplicati gli incendi dolosi, le esplosioni e le manomissioni di infrastrutture critiche in tutto il continente.

Nel 2023 l’intelligence militare russa (GU) ha istituito un Dipartimento attività speciali incaricato di organizzare attentati e sabotaggi. Centri commerciali e supermercati sono stati dati alle fiamme in Polonia e nei Paesi baltici da cittadini polacchi, bielorussi e persino rifugiati ucraini, motivati da ricompense economiche e talvolta all’oscuro dei mandanti, che li hanno contattati anonimamente via Telegram. In Germania è stato sventato un attentato ad Armin Papperger, amministratore delegato di Rheinmettal, azienda tedesca che fornisce aiuti militari all’Ucraina. Mentre in Spagna è stato assassinato il pilota russo che aveva disertato a favore di Kyiv e si era stabilito sotto falsa identità nei pressi di Alicante, dove è stato raggiunto da sicari assoldati dall’intelligence di Mosca.

È noto infatti che i servizi di Putin abbiano una collaborazione organica con la mafia russa per operazioni clandestine in Europa. In Francia hanno pagato cittadini moldavi e bulgari affinché disegnassero sessanta stelle di David sulle abitazioni di cittadini ebrei di Parigi all’indomani del 7 ottobre, o lasciassero una bara con la scritta “soldati francesi in Ucraina” davanti alla Torre Eiffel. In Germania hanno versato denaro a quattro balcanici per danneggiare oltre 270 auto alla vigilia delle elezioni e incolpare i Verdi, tra i più convinti sostenitori di Kyiv. Uno degli episodi più preoccupanti riguarda l’arresto di un uomo originario del Donbas, rimasto ferito nell’esplosione di un ordigno che stava assemblando nella sua stanza d’hotel all’aeroporto Charles de Gaulle, poche settimane prima dell’inizio delle Olimpiadi di Parigi.

Proprio i giochi olimpici sono stati funestati da un misterioso attacco che ha colpito tre delle quattro principali direttrici ferroviarie ad alta velocità, generando il caos per migliaia di utenti. Le indagini non hanno ancora identificato i responsabili, ma sarebbe ingenuo ritenere che un’operazione di tale portata sia stata ideata ed eseguita esclusivamente da piccoli gruppi di anarchici o ecologisti radicali. Quel che è certo è che il Cremlino ha dato carta bianca, come dimostra il piano per spedire pacchi esplosivi su voli DHL, che avrebbe potuto provocare disastri aerei e ha richiesto l’intervento dell’amministrazione Biden per minacciare ripercussioni.

Ci sono stati arresti di cittadini tedeschi di origine russa che preparavano attacchi a basi NATO dove passano gli aiuti per l’Ucraina o per avvelenare il sistema idrico di aeroporti militari, mentre in Polonia sono finite in carcere dozzine di persone pagate per installare videocamere sulle linee ferroviarie dirette a Kyiv o per sabotarle. La Scandinavia non è stata risparmiata, con incendi dolosi dalla Norvegia alla Finlandia, ma anche in Svezia, con la costruzione di una chiesa ortodossa russa ritenuta in una posizione sospetta, strategicamente vicina a un aeroporto militare e una centrale elettrica.

Le operazioni e i rischi in Italia

Dal 2016 l’Italia è stata oggetto di numerose operazioni di spionaggio, come dimostrano la condanna a 29 anni dell’ufficiale di Marina Walter Biot, i tentativi di infiltrazione alla base NATO di Napoli con l’agente dell’intelligence militare russa Olga Kolobova smascherata dai giornalisti di Bellingcat, o l’ufficiale francese processato per tradimento che lavorava nella struttura partenopea. La reclutatrice dell’FSB Natalia Burlinova, ricercata dall’FBI, nel 2019 è riuscita a infiltrarsi anche negli ambienti italiani. Allo spionaggio si sommano gli attacchi del gruppo hacker NoName057(16) contro infrastrutture digitali di Farnesina, banche e aeroporti, per rappresaglia alle parole del Capo dello Stato Mattarella, definito “russofobo” per la sua condanna dell’imperialismo di Mosca.

Ma le operazioni di sabotaggio non si sono limitate alla sfera digitale. Prova ne è la fuga dell’oligarca russo Artem Uss dai domiciliari a Milano in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti per quattro capi d’accusa. L’evasione è stata materialmente facilitata da criminali balcanici, ma coordinata senz’altro dal Cremlino. La medesima procura, nel 2024, ha ottenuto il processo per due imprenditori brianzoli filorussi, accusati di ricevere criptovalute dai servizi di Mosca per mappare le zone cieche delle telecamere di sorveglianza a Milano e Roma, ma anche per allestire una rete di “safe house” per gli operativi russi e installare dash cam per le cooperative di taxi, con le registrazioni da mandare all’intelligence. Questo caso andrebbe messo in relazione con la notizia del Dossier Center, fondato da Mikhail Khodorkovskij, secondo cui i servizi militari russi hanno ricevuto l’ordine di raccogliere informazioni sui critici del Cremlino in Europa, inclusi politici, giornalisti, ricercatori e attivisti.

La sezione antiterrorismo della procura meneghina ha aperto un fascicolo per spionaggio sull’episodio del misterioso drone ad ala fissa di fabbricazione russa che per cinque volte ha sorvolato il Joint Research Centre UE di Ispra, a Varese, poco distante da stabilimenti sensibili di Leonardo. Non si tratterebbe di una novità, in quanto già in Germania droni russi sono stati avvistati sopra basi militari in cui vengono addestrati i soldati ucraini e simili incidenti si sono verificati anche su basi della RAF in Inghilterra. Volendo tracciare un parallelo con la Svezia, anche a Varese nel 2021 è stata inaugurata una chiesa ortodossa russa, a pochi chilometri dal centro europeo sulla ricerca nucleare di Ispra e dalle sedi Leonardo. Al di là delle speculazioni, è noto che il Cremlino utilizzi la Chiesa ortodossa russa per operazioni clandestine, appoggio logistico e propaganda.

Secondo un’analisi del Center for Strategic and International Studies, il numero di attacchi ibridi russi in Europa è triplicato nel 2024 rispetto al 2023, col 27% indirizzato alla rete dei trasporti e un 21% alle infrastrutture critiche, come le condutture energetiche e i collegamenti internet. Le reti ferroviarie italiane sono vulnerabili a sabotaggi fisici e a cyberattacchi, mentre i cavi sottomarini, come quelli Blue Med in posa a Genova, nel Mar Baltico, sono già stati oggetto di danneggiamenti mirati. Anche i rigassificatori di GNL, fondamentali per emanciparsi dalle forniture russe, sono potenziali bersagli nella guerra ibrida di Mosca. Si tratta di asset strategici che richiedono un’attenzione speciale.

Alla luce di questa situazione, anche in Italia si rende necessario un salto di qualità per la sicurezza interna. Una riforma attesa degli apparati di intelligence e controspionaggio, ma anche un’istituzione dedicata al contrasto delle ingerenze esterne per la sicurezza cognitiva. Inoltre, l’Italia è rimasta l’unico paese del G7 a non avere ancora un consiglio di sicurezza nazionale, perché il Consiglio supremo di difesa ha altre prerogative, e manca una strategia di sicurezza nazionale, elaborata invece dagli altri paesi europei. Insomma, occorre adeguare il modello istituzionale alle nuove sfide poste dalla Russia e da altri regimi che vogliono interferire nei processi democratici, aumentare l’instabilità e avanzare i propri interessi egemonici.

Merz eletto cancelliere tedesco

Friedrich Merz, leader conservatore tedesco, ha ottenuto una maggioranza assoluta di 325 voti contro 289 nel secondo voto segreto della Camera bassa del Parlamento per diventare il nuovo Cancelliere della più grande economia europea. Tuttavia, la sua vittoria è stata agrodolce, dopo che la sconfitta iniziale aveva fatto presagire malumori all’interno della sua coalizione.

Merz guiderà una coalizione tra la sua alleanza CDU/CSU e i socialdemocratici di centro-sinistra (SPD) del cancelliere uscente Olaf Scholz.

Il presidente Frank-Walter Steinmeier ha nominato Merz il decimo cancelliere della Germania del dopoguerra. “Accetto questa responsabilità con umiltà, ma anche con determinazione e fiducia”, ha dichiarato Merz. “È un bene che la Germania abbia di nuovo un governo federale con una maggioranza parlamentare”, ha aggiunto, promettendo che la sua coalizione centrista sarà in grado di affrontare i problemi nazionali, dall’economia all’immigrazione.

In un’intervista al canale di informazione NTV, Merz ha anche promesso di essere un leader “molto europeo”, auspicando che la Germania assuma un ruolo più importante a livello internazionale.

Nel suo primo giorno di mandato, il nuovo cancelliere si recherà prima in Francia e poi in Polonia, con l’obiettivo di rafforzare i legami con i vicini europei che hanno cercato di presentarsi uniti nel momento in cui il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha messo in discussione i legami diplomatici e di sicurezza di lunga data, di fronte a una Russia ostile.

Dopo il crollo del governo dell’ex cancelliere Scholz a novembre, la Germania è rimasta per lo più in disparte, con la politica paralizzata in attesa di un nuovo leader.

Alla domanda su come la Germania potrebbe cercare di influenzare i colloqui su un possibile accordo di pace nella guerra in Ucraina, Merz ha risposto che esiste un “formato collaudato” di Berlino che lavora con Francia e Gran Bretagna. “La Germania è stata piuttosto reticente negli ultimi mesi a causa della transizione da un governo all’altro”, ha dichiarato Merz all’emittente pubblica ZDF, prima di aggiungere che d’ora in poi intende “consultarsi intensamente” con Londra e Parigi.

Il rapporto con gli Stati Uniti

Il nuovo cancelliere ha promesso di rilanciare l’economia tedesca in difficoltà e di rafforzare il ruolo di Berlino in Europa, rispondendo ai rapidi cambiamenti avvenuti dopo la vittoria di Trump alle elezioni di gennaio.

Il presidente degli Stati Uniti ha esercitato pressioni sugli alleati europei, affermando che spendono troppo poco per le capacità di difesa della NATO e imponendo tariffe particolarmente dolorose alla Germania, potenza esportatrice.

Durante la campagna elettorale tedesca, gli alleati di Trump, tra cui il principale consigliere e miliardario tecnologico Elon Musk e il vicepresidente JD Vance, hanno offerto un forte sostegno al partito di estrema destra e anti-immigrazione Alternativa per la Germania (AfD). Dopo che la scorsa settimana l’agenzia di spionaggio nazionale tedesca ha definito l’AfD un partito “estremista di destra”, il segretario di Stato americano Marco Rubio ha definito la mossa “una tirannia mascherata” e ha affermato che “la Germania dovrebbe invertire la rotta”.

Merz ha condannato le recenti “osservazioni assurde” degli Stati Uniti senza specificare particolari affermazioni e ha dichiarato di “vorrebbe incoraggiare il governo americano a rimanere ampiamente fuori dalla politica interna tedesca”. Politico con legami di lunga data con gli Stati Uniti, Merz ha affermato di aver sempre percepito “dall’America che sanno distinguere chiaramente tra partiti estremisti e partiti di centro politico”.

Vuoto di potere risolto

Il primo voto parlamentare segreto di martedì 6 maggio era atteso come una formalità, ma si è trasformato in un disastro per Merz, che ha mancato per appena sei voti la maggioranza assoluta necessaria per ottenere l’incarico. Tuttavia, il suo trionfo significa che “il vuoto di potere di sei mesi nel cuore dell’Europa è finito”, ha dichiarato l’analista Holger Schmieding della Berenberg Bank.

Schmieding ha affermato che la battuta d’arresto iniziale di Merz “suggerisce che non può contare sul pieno sostegno dei due partiti che sostengono la sua coalizione… Questo seminerà qualche dubbio sulla sua capacità di portare avanti l’agenda politica”. Nonostante il temporaneo sconvolgimento di oggi, ha aggiunto, “Merz ha una comprovata capacità di riprendersi da battute d’arresto temporanee. Per esempio, gli sono occorsi tre tentativi per diventare capo del suo partito CDU, ma alla fine ce l’ha fatta”.

L’AfD ha esultato soprattutto per il voto iniziale contro Merz, che ha promesso di riportare la stabilità a Berlino. Si è anche impegnato a intensificare i controlli sull‘immigrazione irregolare, in parte per ridurre l’appeal dell’AfD. Ha promesso di “fare di tutto” per “ripristinare la fiducia dei cittadini nel centro politico e impedire che votino per un partito come l’AfD”.

La lunga ambizione di Merz di diventare cancelliere della Germania, sventata per la prima volta decenni fa dalla rivale di partito Angela Merkel, che ha poi ricoperto il ruolo di cancelliere per 16 anni, si è finalmente realizzata.

© Agence France-Presse

Scenari di crisi e trasformazioni della difesa italiana

Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa, Sicurezza e Spazio dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), è intervenuto a Spazio Transnazionale, la trasmissione condotta da Francesco De Leo su Radio Radicale.

Nel corso dell’intervista, Marrone ha analizzato l’escalation militare tra India e Pakistan e il piano israeliano per l’occupazione o lo sfollamento forzato della popolazione nella Striscia di Gaza. Ha inoltre commentato l’evoluzione del contesto geopolitico in Medio Oriente, con particolare attenzione al ruolo degli Houthi e alle implicazioni più ampie per la sicurezza regionale e internazionale.

Un focus importante è stato dedicato anche all’evoluzione della difesa italiana, che si sta adattando a una nuova fase storica caratterizzata da minacce complesse e scenari in rapida trasformazione. Marrone ha citato in particolare l’AeroSpace Power Conference, evento dedicato alla riflessione strategica sulle capacità future necessarie per affrontare le sfide internazionali, di cui lo IAI è partner scientifico.

L’escalation delle tensioni tra India e Pakistan

Da quando, il 22 aprile scorso, un commando terroristico ha ucciso 26 civili a Pahalgam, nel Kahsmir indiano, la tensione tra India e Pakistan ha superato i livelli di guardia. L’India ha accusato il Pakistan di essere indirettamente responsabile. L’attacco sarebbe stato infatti portato avanti da uno dei gruppi terroristici che, secondo l’intelligence indiana, riceve supporto logistico e protezione politica da parte dei servizi di sicurezza pachistani. Islamabad, dal canto suo, nega qualsiasi coinvolgimento.

La reazione indiana è stata immediata e decisa: il governo ha sospeso il trattato del 1960 che regolamenta la gestione delle acque del bacino dell’Indo; ridotto al minimo la presenza diplomatica pachistana; interrotto il commercio, anche attraverso paesi terzi; annullato tutti i visti concessi a cittadini pachistani e intimato loro di lasciare il paese; vietato alle navi pachistane di attraccare ai porti indiani; bandito i canali YouTube pachistani; e chiuso i valichi di confine. Il Pakistan ha reagito con misure simili e ha dichiarato che l’accordo di cessate il fuoco in vigore dal 1972 è da considerarsi sospeso. Come di solito avviene in queste situazioni, gli scontri al confine lungo la Linea di Controllo (il confine di fatto tra i due paesi) si sono intensificati. Il premier indiano Narendra Modi ha dato il “via libera” all’esercito di reagire come meglio crede per difendere la sicurezza nazionale.

Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, l’India ha sferrato un attacco missilistico contro nove sospette basi terroristiche, causando danni relativamente limitati (anche se Islamabad ha dichiarato che gli attacchi avrebbero causato 26 morti civili). Il Pakistan ha reagito colpendo il Kashmir indiano con colpi d’artiglieria che avrebbero causato almeno nove morti civili. Inoltre, secondo le autorità pachistane alcuni jet dell’aviazione indiana sarebbero stati abbattuti (il governo indiano non ha confermato). Il rischio di un’escalation è alto, anche se alcuni elementi portano a pensare che i due paesi non hanno intenzione di sprofondare in un conflitto su larga scala.

India, Pakistan e la crisi del 2019

L’ultima volta che India e Pakistan si sono trovate sull’orlo della guerra (dopo l’attentato di Pulwama, a pochi mesi dalle elezioni generali indiane del 2019), la situazione non è degenerata per le forti pressioni esercitate dal governo americano su entrambi i paesi, ma anche per una serie di circostanze fortunate: da un lato infatti i raid aerei indiani non causarono danni o vittime – forse intenzionalmente? – e, dall’altro, il pilota indiano catturato dall’esercito pachistano sopravvisse e fu prontamente rimandato in patria. Entrambi i governi, grazie anche al controllo che esercitavano sui media, furono in grado di presentare la propria reazione come una vittoria.

La situazione di oggi presenta qualche somiglianza ma anche notevoli differenze. Come nel 2019, entrambi i governi esercitano un notevole controllo sui media, che gli permetterebbe di presentare scenari molto diversi fra loro come una vittoria. Come nel 2019, Modi è sotto pressione da parte dell’elettorato per mostrare i muscoli, anche in vista delle importanti elezioni statali del Bihar (il terzo stato più popoloso del paese) previste per l’autunno. D’altro canto il capo dell’esercito pachistano Asim Munir, a differenza del suo predecessore che aveva perseguito una linea conciliatrice, sta cercando di rafforzare la sua posizione con una retorica molto aggressiva nei confronti dell’India già da prima dell’eccidio del 22 aprile. Inoltre, gli Stati Uniti non sembrano volersi occupare della questione, non solo per l’apparente disinteresse del presidente Donald Trump, ma anche perché, a differenza del 2019, non hanno più truppe in Afghanistan. Naturalmente, è assai probabile il Dipartimento di Stato americano sia al lavoro per assicurarsi che la tensione tra i due paesi, entrambi dotati di armi nucleari, non salga oltre una certa soglia.

Prospettive di risoluzione e rischi geopolitici

Nonostante l’estrema pericolosità della situazione, al momento un’uscita dalla crisi simile a quella del 2019, quando agli attacchi mirati indiani segui una risposta altrettanto mirata da parte pachistana, sembra la più plausibile. Gli attacchi del 6-7 maggio potrebbero aver soddisfatto le aspettative dell’opinione pubblica indiana e soprattutto dei nazionalisti indù, e la base elettorale del partito del primo ministro, che chiedevano una reazione militare forte. Il Pakistan ha a sua volta dichiarato di aver obbligato il nemico ad alzare “bandiera bianca”, il che potrebbe placare la propria opinione pubblica.

Quel che è certo è che una guerra prolungata avrebbe costi altissimi per entrambi i paesi. Il Pakistan è da anni ingolfato in una grave crisi economica e politica che una guerra non farebbe che aggravare. L’India d’altro canto non può ignorare la possibilità che la Cina, storica alleata di Islamabad, decida di intervenire. Piccoli spostamenti di truppe cinesi nel settore orientale del confine conteso tra i due paesi richiederebbero un immediato dispiegamento di forze indiane su due fronti e cioè il venire in essere del più temuto incubo strategico dell’establishment militare indiano. Molto dipenderà da come i due paesi decideranno di leggere la reazione dell’altro e dalla chiarezza con la quale Cina e Stati Uniti comunicheranno a India e Pakistan la propria soglia di tolleranza.