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Global Outlook 2015: rapporto finale

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29/04/2015

L’economia mondiale si affaccia nel 2015 in una condizione quanto mai piena di incertezze, dovute alle difficoltà della ripresa economica in alcuni paesi industrializzati, al rallentamento della crescita di alcuni paesi emergenti e alle numerose aree caratterizzate da turbolenza politica, guerra e instabilità. Da una parte, gli Stati Uniti continuano a segnare tassi di crescita sorprendenti per un’economia avanzata, fino a segnare un +5% del PIL nell’ultimo quarto del 2014. Tale crescita sembra supportare la visione di coloro che considerano l’adozione di rigide politiche di austerità come un freno alla crescita, piuttosto che uno stimolo. Allo stesso tempo, il boom energetico degli Usa, dovuto anche all’adozione di tecnologie di fracking in alcune zone del territorio nordamericano, sembra ora accusare qualche battuta d’arresto, soprattutto per due cause da esso stesso generate: il calo del prezzo del greggio e del gas a livello internazionale, e i notevoli danni ambientali che tali tecniche inevitabilmente generano, e che sembrano suggerire un approccio assai più cauto, sposato da molti commentatori a livello internazionale.
A fronte di questa evoluzione, la Cina sembra incedere a un ritmo inferiore a quello registrato nel decennio precedente. Il rallentamento della domanda espressa da alcuni paesi industrializzati, unito a una governance accentratrice e non del tutto lungimirante, costituiscono elementi di freno e motivi di riflessione che non devono, però, far pensare a una vera e propria crisi del modello economico della prima economia mondiale. Al contrario, la Cina potrà con ogni probabilità giovarsi dello stallo dei negoziati trans-pacifico e trans-atlantico per consolidare la propria posizione egemonica nel commercio internazionale e guardare in modo deciso verso la conquista di nuovi avamposti nei paesi emergenti. I negoziati per un’area di libero commercio tra Unione europea e Cina potrebbero subire un’accelerazione durante il 2015: un’evoluzione che molti esperti caldeggiano come vantaggiosa anche per l’Unione europea.
In questo mutevole scacchiere internazionale, è necessario anche tener conto delle transizioni in corso nei paesi emergenti. Mentre molti paesi africani, in particolare nella fascia sub-sahariana sembrano ancora attanagliati da gravi problemi (governi instabili, una dipendenza significativa dai donor internazionali, il perdurare di conflitti interni di tipo etnico-politico e l’emergere di nuovi conflitti inter-religiosi), l’America Latina appare frammentata in due gruppi ben distinti. Da un lato vi sono paesi caratterizzati da un percorso di riforme strutturali aggressivo e ambizioso, come il Messico (cui è dedicato un capitolo di questo rapporto), ma anche la Colombia, il Cile e per molti versi anche il Brasile. Dall’altro abbiamo paesi nei quali il fallimento delle ricette economiche orientate al Washington Consensus ha generato anni di instabilità e l’emergere di governi di impostazione socialista, i quali in molti casi hanno sì ridotto le disuguaglianze, ma “al ribasso”, portando i propri paesi vicino alla bancarotta (Venezuela, Cuba, Argentina e, in misura minore, Bolivia ed Ecuador). Alcuni di questi ultimi paesi sembrano ora destinati ad attraversare una nuova transizione, auspicabilmente non violenta, che dovrebbe modificare nuovamente l’impostazione politica governativa, con conseguenze oggi non facili da prevedere. Ci si riferisce in particolare al Venezuela, prostrato da politiche scellerate e oggi anche dal calo del prezzo del petrolio.
Il calo del prezzo del petrolio ha anche messo a nudo la fragilità dell’economia russa, troppo legata al prezzo delle materie prime. Il governo di Putin appare quanto mai debole e incapace di avviare un percorso di riforme strutturali e istituzionali che potrebbero portare a una modernizzazione dell’economia russa. La debolezza interna, acuita da un crescente malcontento, viene compensata – come spesso accade – da una politica estera sempre più aggressiva, come appare evidente dalla campagna di Crimea e dall’ingerenza militare in Ucraina. Si tratta di una situazione che, all’inizio del 2015, alimenta lo spettro di una guerra sanguinosa, nel cuore dell’Europa: l’attivismo dei primi ministri Angela Merkel e François Hollande, impegnati in un dialogo serrato con Vladimir Putin, testimonia dell’urgenza di una soluzione.
In questo contesto, l’Unione europea è in evidente crisi di identità. Sebbene il nuovo corso della Commissione a guida Juncker mostri alcuni segnali positivi in termini di organizzazione e visione strategica, non si può dimenticare come il Vecchio Continente si sia distinto, nel corso del 2014, soprattutto per la goffaggine nella gestione della crisi ucraina, affidata all’iniziativa degli stati membri piuttosto che all’Alto rappresentante, per l’inefficacia (crescente) dell’azione nel Mediterraneo, per il perdurante conflitto tra fautori dell’austerità e sostenitori della flessibilità orientata alla crescita e per l’incerta gestione della crisi greca, ora esplosa definitivamente con la vittoria di Syriza e l’inizio di un estenuante negoziato tra governo greco, Commissione europea e stati membri sulla possibile rinegoziazione del debito greco. In questa tempesta continua, funestata dal riemergere del terrorismo (si pensi agli attacchi di Parigi del gennaio 2015) e dai venti di guerra in Medio Oriente e in Ucraina, l’incompiutezza del progetto politico europeo si fa sentire più che mai. E a poco vale l’attivismo della Banca centrale europea, costretta a varare un’operazione di quantitative easing senza precedenti per arginare, senza risolverla, l’instabilità generata sui mercati nazionali dalla mancanza di un’Europa unita a livello politico ed economico nonché il rischio deflazione in alcuni stati membri. Come documentato in questo rapporto, l’incertezza nella ripresa europea viene ulteriormente alimentata dall’acrobatico teorema alla base del “piano Juncker” da 315 miliardi di euro, e dal probabile rinvio della revisione della strategia di crescita (Europa 2020), che sembra destinata a “slittare” sotto la presidenza lussemburghese. Peraltro, tale rinvio potrebbe nascondere anche una nota positiva: se la Commissione Juncker riuscisse a far coincidere il rilancio della strategia con la revisione del Six Pack e del Two Pack, previste alla fine del 2015, tale operazione congiunta potrebbe fornire all’Unione quella terapia d’urto e quel cambio di marcia che da tempo viene caldeggiato dagli esperti.
Da ultimo, anche l’Italia ha attraversato una transizione politica (anche se non suffragata da una consultazione elettorale) nel 2014, alla vigilia del semestre che l’ha vista alla presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Il governo Renzi ha mostrato di credere in una accelerazione del percorso di riforme del quale il nostro paese ha bisogno per fronteggiare in modo costruttivo l’inevitabile spostamento del centro gravitazionale dell’economia mondiale verso il sud est asiatico. L’avvio del percorso riformatore appare però ancora viziato dall’incertezza politica e un certo grado di short-termism, che deve essere accompagnato il prima possibile dalla formulazione di una vera e propria strategia di medio-lungo periodo per il futuro industriale ed energetico del paese, per la sua coesione sociale e territoriale e il suo sviluppo sostenibile. Al di là delle difficoltà dell’Europa, l’analisi della attuale strategia tedesca Industrie 4.0 e la riflessione sulla transizione energetica e il suo impatto sul Mediterraneo, contenute in questo Rapporto, sono proprio finalizzate a stimolare il dibattito sulle sfide che il nostro paese si trova a dover affrontare nel breve periodo, per non doversi trovare a rincorrere, invano, l’evoluzione dell’economia mondiale.

Il presente rapporto riporta le principali raccomandazioni di policy emerse dal dibattito organizzato nel corso del 2014 dall'Istituto Affari Internazionali nell'ambito del programma di politica economica internazionale Global Outlook. In particolare, la seconda sezione contiene indicazioni relative all'Unione europea, mentre la terza si concentra in particolare sull'Italia.

Presentato alla conferenza "Innovazione e competitività: un'agenda per Europa e Italia", Roma, 29 aprile 2015.

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