“A prima vista, si tratta di attentati ben organizzati, voluti dall’Isis o a questo legati. Inevitabile pensare agli attentati del 13 novembre a Parigi”. È l’analisi di Stefano Silvestri, ex presidente dell’Istituto di affari istituzionali, noto esperto di sicurezza e difesa. Forse lo stesso gruppo o gruppi strettamente collegati tra loro. Vedremo se Abdelsalam ne sa qualcosa e se parlerà. Diciamo che ancora una volta parliamo di terroristi, in attesa di conferma, che sembrano essere autoctoni, persone che vivono da tempo in Belgio, che hanno nazionalità belga. Non si tratta di qualcuno spedito dalle centrali dell’Isis per colpire, ma di qualcuno che già si trova nel territorio. Ci sono indicazioni di un certo addestramento sia su come armarsi che come mantenere la clandestinità. È possibile ipotizzare che ci sia stato un addestramento, in Siria magari, o maturato via internet. Tutto questo andrà appurato, ma è la conferma di una minaccia che esiste all’interno dei nostri Paesi e che si collega ideologicamente alla minaccia esterna dei terroristi islamici verso i Paesi mediorientali. Attaccando noi, lo Stato islamico si crea una giustificazione ideologica della propria esistenza, e allo stesso tempo punta a convincere l’Occidente a mollare nell'area mediorientale”.
Si può parlare di una escalation visti gli obiettivi scelti?
“Tanto all’aeroporto, nella zona dell’attentato, che alla metropolitana c’è un controllo a maglie larghe e se non c’è il colpo di fortuna o la segnalazione, l'azione di investigazione, il rischio è molto alto. Proprio negli obiettivi scelti vedo una similitudine con Parigi: la ricerca di alto numero di vittime colpendo luoghi che non sono di grande valore politico. Lo scalo dell’American Airlines forse era un obiettivo politico, ma non così diretto. L’attacco alla metropolitana era finalizzato a provocare il maggior numero di vittime possibile e paralizzare la città. Perché bloccare la città, impedire a qualcuno di partire per le vacanze pasquali è un’azione che ha ulteriore forza propagandistica in termine di immagine. C’è completa indifferenza rispetto a chi saranno le vittime come è successo a Parigi. Per questo c’è da verificare se ci siano legami tra i due episodi”.
Salah Abdelsalam aveva in qualche modo “preannunciato” che la scia di violenza non sarebbe finita.
“Salah non sappiamo quanto sappia o quanto dice, non è personaggio di spicco, qualcosa sa, c’è da vedere quanto ha detto e quanto vuole dire a polizia. È, però, difficile che ci siano tanti gruppi di questo genere. È vero che possono essere separati e agire come cellule separate. Ma a me sembra che sia gente che si conosceva tra di loro e che non siano stati messi insieme come una compagnia di soldati. C'è qui una pista da seguire, da dove vengono come mai si sono radicalizzati e quanti altri ce ne stanno”.
È una questione culturale?
“L’aspetto culturale è importante, però non facciamci illusioni, la questione terrorismo non risolve solo sul piano culturale. Certo, può facilitare il dialogo con le comunità islamiche in Europa, solo con la cooperazione possiamo essere più sicuri di bloccare i terroristi. La comunicazione è importante, ma marginale, per quanto efficace, può esserci sempre un gruppo che sfugge e, finché trova chi gli dà armi e lo copre, sarà bene conoscere approfonditamente quel gruppo”.