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Carlo Cottarelli: Il Fondo monetario nel XXI secolo

Grazie per questo invito. Non sono qui per parlare di spesa pubblica in Italia e, tanto per cambiare ed essere più coerente con il mio attuale incarico, vorrei invece parlarvi del Fondo Monetario Internazionale. Siamo a inizio anno e quindi mi sembra appropriato parlarvi dei problemi che il Fondo dovrà affrontare quest’anno. Ma vorrei parlarvi di questi problemi alla luce delle tendenze di più lungo termine dell’economia mondiale con le quali il Fondo Monetario dovrà confrontarsi negli anni a venire.

Ma partiamo dal breve periodo e, in particolare, dalle previsioni di crescita per il 2016 e 2017 appena pubblicate dal Fondo nell’aggiornamento del suo Work Economic Outlook presentato a Londra due giorni fa.

Il WEO update ha rivisto

  • Il mondo
  • I paesi avanzati
  • I paesi emergenti (le materie prime).

Tra i principali paesi, desta particolare preoccupazione i Brasile, dove e’ in corso un aggiustamento fiscale piuttosto pesante (ricordiamoci che il Brasile ha uno dei più elevati rapporti tra debito e Pil tra i paesi emergenti), un aggiustamento fiscale per il quale lo staff del Fondo Monetario aveva sottostimato gli effetti negativi sul PIL nel corso dell’ultima consultazione annuale(avevo sollevato questa questione al meeting del Board l’anno scorso).

E poi c’e’ la Cina. Il tasso di crescita cinese e’ sceso quasi costantemente dal 2010 ad oggi dal 10 e mezzo percento al 6 e ¼ percento previsto ora per il 2016. Si tratta comunque di tassi di crescita molto elevati anche in termini pro-capite. Fra l’altro la riduzione del tasso di crescita è interamente dovuta all’aumento dell’economia cinese in termini assoluti. La variazione del PIL reale cinese è più a mono costante dal 2010 a oggi, ma rapportata a un PIL in crescita comporta una riduzione dei tassi di crescita.. E una curiosità statistica se volete ma contribuisce a far considerare come fisiologico la discesa del tasso di crescita cinese. Se pensiamo che, per motivi demografici, un numero fisso di cinesi si può spostare dalle campagne alle città (circa 11-12 milioni si spostano ogni anno) e che l’aumento del Pil sia dovuto principalmente a questo influsso, questo può spiegare perché il numeratore del rapporto è più o  meno costante e il tasso di crescita scende nel tempo. Non mi preoccuperei toppo quindi per questa discesa che e’ fisiologica. La mia preoccupazione è piuttosto che i dati pubblicati sono di sufficiente qualità. Sappiamo ancora troppo poco sull’economia cinese per esempio sullo stato delle finanze pubbliche delle regioni che, credo, restino in parte sconosciute allo stesso governo centrale.

Questo scenario di crescita non lascia il Fondo molto soddisfatto. La crescita appare ancora essere bassa. Il Fondo ha parlato nell’ultimo paio di anni di crescita mediocre, con tassi di crescita per il mondo molto più bassi di quelli del periodo pre-crisi. The new mediocre è diventato the new normal. E questo non piace ai G-20 come non piace al Fondo Monetario.

In realtà se guardiamo i dati sulla crescita del mondo nel suo complesso, questa non è poi così bassa in una prospettiva di lungo termine:

  • Negli anni ’80 la crescita del PIL mondiale e’ stata in media del 3,3 percento
  • Lo stesso negli anni ‘90
  • Nella decade scorsa si e’ saliti al 3,9 per cento
  • In questa decade siamo per ora al 3,5 per cento che e’ piu’alto sia degli anni 80 che degli anni 90.

La crescita appare però bassa se la confrontiamo all’età’ dell’oro del periodo 2000-07 quando la crescita mondiale sfiorò il 4 e mezzo percento l’anno. Rispetto a quel periodo la crescita tra il 2011 e il 2015 e’ stata mediocre e siamo ora poco la di sopra del 3 percento, Ma rispetto alle tendenze precedenti una crescita del 3-3 ½ percento non sembra cosi’ anomala..

Ma il Fondo Monetario resta preoccupato. Perché si cresce meno? Secondo il Fondo, e’ un problema sia di domanda che di offerta.

Che ci sia un problema d’insufficiente domanda aggregata sembra confermato dal tasso di disoccupazione ancora elevato, anche se l’ancor alta disoccupazione è soprattutto un fenomeno europeo, e dal basso tasso di inflazione a livello mondiale. Si potrà dire che la bassa inflazione è causata dalla caduta del prezzo delle materie prime, che si estende anche all’inflazione escluso energia e alimentari e che la caduta del prezzo delle materie prime—soprattutto per il petrolio—è causata dall’aumento dell’offerta piuttosto che da un calo della domanda. Fatto sta che il basso livello di inflazione sembrerebbe lasciar spazio a politiche economiche di sostegno alla domanda.

Questa e’ in effetti la soluzione che il Fondo continua a spingere, soprattutto per le economie avanzate. Riguardo la politica monetaria il Fondo aveva raccomandato di rinviare l’aumento dei tassi di interesse americani e ora raccomanda di non procedere a nuovi aumenti. C’e’ anche un pieno sostegno alla BCE nelle sue politiche espansive.

Per quanto riguarda la politica fiscale, il Fondo e’ ora molto cauto nel raccomandare l’aggiustamento fiscale. Nell’ultimo Fiscal Monito, la pubblicazione che si dovrebbe occupare di rischi di finanza pubblica nel mondo, l’executive summary conteneva il termine crescita 16 volte, mentre il termine debito era menzionato 4 volte e non si usava mai il termine deficit. E’ un fatto (aneddotico) significativo. Quindi si raccomanda ai paesi con spazio fiscale di aumentare la spesa e a quelli senza spazio fiscale di moderare l’aggiustamento sulla base degli andamenti ciclici (non semplicemente di lasciar operare gli stabilizzatori automatici).

Il Fondo e’ quindi moto più incline a politiche di sostegno alla domanda di quanto fosse in passato, in particolare prima della crisi del 2008-09.

Ma, secondo il Fondo, c’e’ anche la necessità di riforme strutturali per aumentare l’offerta, la crescita potenziale, che e’ frenata da fattori demografici, bassa propensione all’investimento per minori prospettive di crescita della domanda e scarso aumento della produttività nei paesi avanzati e nei paesi emergenti (questi ultimi per il rallentamento nel processo di catching up). Sapete che molti parlano di stagnazione secolare, alcuni attribuendola alla eredità della crisi del 2008-09 (e gli effetti sui bilanci di famiglie e imprese) altre alla mancanza di progresso tecnico, tranne che nel settore informatica che, per motivi ancora da identificare, non sta dando l’effetto sperato sulla produttività’ dei fattori. . Qui il Fondo Monetario rimane sui temi classici: riforma del mercato de lavoro, maggior concorrenza sui mercati dei beni e dei servizi, miglioramento della giustizia, soprattutto quella che riguarda l’ambito economico e così via. Il Fondo ha sviluppato il suo interesse in queste aree ed e’ in corso una discussione approfondita al Board su quante risorse si devono investire in queste aree che sono già coperte da altre istituzioni internazionali, in particolare dall’OCSE.  Il nostra management preme molto per un maggior impegno in questa direzione ma c’e’ il rischio di non avere risorse per occuparsi delle responsabilità “core” della nostra istituzione (e secondo me è già evidente un indebolimento nei nostri rapporti del modo in cui sono trattate, in particolare, le questioni fiscali).

Ora, di fronte a queste raccomandazioni, credo necessario riconoscere che la situazione dell’economia mondiale resta piuttosto delicata e che trovare la politica economica “giusta” per evitare problemi sia oggettivamente molto difficile se non impossibile. E’ chiaro che la crisi del 2008-09 ha lasciato ferite o almeno cicatrici molto profonde, la principale essendo l’accumulo di debito che si e’ creato. Questo debito frena la crescita perché appesantisce i bilanci delle imprese e delle famiglie e anche dello stato.

Il problema è che la cura proposta per la bassa crescita corre il rischio di rendere questi problemi ancora più seri. Politiche monetarie espansive rendono il debito più sostenibile, ma inducono anche a maggior debito privato, a un gonfiamento del valore degli assets e, potenzialmente a nuove bolle speculative. Il sistema finanziario internazionale resta molto complesso—si e’ parlato molto di recente di shadow banking system—e non sarei sicuro che il tipo di fenomeni che hanno causato la crisi del sub-prime market siano scomparsi. E tassi di interesse bassi lasciano indurre a credere che più debito privato sia sostenibile.

Inducono anche a credere che più debito pubblico sia sostenibile. Il processo di aggiustamento dei conti pubblici, in questo contesto di bassa domanda, procede molto lentamente. Il deficit pubblico dei paese avanzati e’ migliorato nel 2015 dello 0,3 percento del Pil, il più basso miglioramento dal 2010, quando il processo di aggiustamento e’ iniziato—un fatto che il Fondo Monetario non ha commentato nelle sue recenti pubblicazioni.. Il rapporto tra debito e Pil e’ praticamente costante intorno al 105 per cento da tre anni (ricordo che era del 72 percento prima della crisi). Il deficit pubblico dei paesi emergenti e’ aumentato dallo 0,7 percento del Pil nel 2011 al 4,1 percento del Pil nel 2015, mentre il debito, pur restando basso, e’ aumentato dal 38 percento a quasi il 45 percento del Pil nello stesso periodo.

E prima o poi i tassi di interesse dovranno cominciare a salire, e lo stanno facendo negli Stati Uniti, seppure, appunto, con estrema cautela.

In questa situazione, la scelta che viene fronteggiata dai policy-makers potrebbe essere tra una crescita più bassa e una crescita più volatile e mi sembra che le azioni dei policy makers, e le raccomandazioni del Fondo Monetario—compreso il fatto che una crescita mondiale comunque superore al 3 percento viene ritenuta mediocre—fanno tenere che quello che ci debba aspettare sia una crescita più instabile.

Come ho detto, non c’e’ una ricetta semplice per risolvere questa situazione. Io propenderei per una crescita un po’ più bassa, ma più sicura. Il Fondo Monetario nasce dalla convinzione che la stabilità economica conduca alla crescita. Io mio timore è che il Fondo pensi ora che la crescita (ad un tasso elevato) sia necessaria per la stabilità (il principio della bicicletta che sta in piedi solo se avanza velocemente). Se fosse effettivamente così allora non ci sarebbe davvero via d’uscita.

Riguardo poi al problema della stagnazione secolare per un effetto di una mancanza cronica di domanda, mi chiedo se poi non esista un problema più di fondo che sarebbe comunque difficile risolvere con politiche macroeconomiche espansive. Mi riferisco agli effetti sulla domanda aggregata dei cambiamenti nella distribuzione del reddito osservati negli ultimi tre decenni. La distribuzione del reddito nella maggior parte dei paesi si è spostata, dai primi anni ’80, a favore delle classi più abbienti, invertendo la tendenza dei decenni precedenti. Negli Stati Uniti, per esempio, gli indici di distribuzione del reddito ci dicono che a partire dall’inizio del XX secolo fino agli anni ’80 la distribuzione del reddito era diventata sempre più equilibrata. La tendenza è poi cambiata radicalmente e, attualmente, la distribuzione del reddito è tornata a essere simile a quella dell’inizio del secolo scorso. Al momento, l’1 per cento più ricco della popolazione americana percepisce il 20 per cento del Pil totale (conto l’8 per cento all’inizio degli anni ’80). Tendenze simili, anche se non così accentuate, si sono manifestate anche in Europa.

Questa redistribuzione del reddito a favore dei ricchi potrà piacere o meno in termini di equità. Ma il problema in termini di crescita è che se viene tolto troppo potere d’acquisto alla classe media, non c’è abbastanza domanda, visto che, per quanto facciano, i pochi ricchi non possono sopperire con i loro consumi al minor consumo della stragrande maggioranza della popolazione. Per sopperire a questa mancanza di domanda nel decennio scorso si sono appunto adottate politiche monetarie molto espansive. In altri termini, la famiglia media americana avrà avuto meno reddito ma poteva indebitarsi a tassi d’interesse bassi per alimentare i consumi. Questa è l’interpretazione data alla crisi del 2008-09 da parte di Raghu Rajan, ex-capo economista del Fondo Monetario Internazionale e attualmente Governatore della banca centrale indiana, nel libro Fault Lines.

Se fosse così, risolvere il problema di una carenza di domanda non sarebbe per niente facile.. Occorrerebbe riequilibrare la distribuzione del reddito. Ma questo sarebbe difficile se il cambiamento della distribuzione del reddito riflettesse, come temo, fenomeni ancora più ampi come la globalizzazione. La distribuzione del reddito tra capitale e lavoro dipende dalla disponibilità relativa di lavoro rispetto alla disponibilità di capitale. L’entrata nell’economia mondiale di paesi come la Cina—ricchi di lavoro ma poveri di capitale—ha portato a una rapido aumento del rapporto tra lavoro disponibile e capitale disponibile, riducendo la remunerazione del lavoro (particolarmente quello non specializzato) rispetto a quella del capitale (e del lavoro specializzato). Se così fosse, sarebbe difficile correggere la tendenza verso una meno equilibrata distribuzione del reddito senza rinunciare ai vantaggi di una economia integrata a livello globale.

Tutto questo mi porta a concludere che la situazione economica mondiale rimane caratterizzata da notevoli squilibri ed esposta a rischi molto significativi.

Il Fondo Monetario deve essere quindi pronto a intervenire di nuovo in caso di shock a sostegno di paesi colpiti da crisi. Sara’ pronto?

La questione principale riguarda le risorse a disposizione del Fondo Monetario. In linea di principio, il Fondo e’ una istituzione che dovrebbe finanziare i propri prestiti con le proprie risorse, le quote che vengono pagate dai vari paesi. Di fatto pero’ le quote del Fondo non hanno tenuto il passo con la crescita dell’economica mondiale e, soprattutto, con la crescita dei flussi finanziari.

Il Fondo ha dovuto quindi complementare queste risorse prendendo a prestito dai paesi. Anche in questo caso, però le sue risorse restano abbastanza limitate rispetto ai problemi che il Fondo potrebbe fronteggiare.

La buona notizia e’ che nel dicembre scorso il Congresso americano ha dato il suo ok alla riforma delle quote approvate dal Fondo nel 2010, riforma che ne prevede il raddoppio, da SDR 238.5 miliardi a SDR 477 miliardi (circa $669 miliardi). L’aumento dovrebbe quindi avvenire nel corso del 2016.

Anche in questo caso, però le risorse del Fondo resterebbero limitate e non credo ci sia proprio l’appetito per un nuovo  aumento in tempo brevi. Non è un problema da poco. Nel 1976 e 1977 il Fondo Monetario faceva ancora prestiti a paesi come l’Italia e il Regno Unito. Ora questo non sarebbe possibile. Il fabbisogno di finanziamento lordo dell’Italia e’ di circa 400 miliardi di euro l’anno. Se l’Italia perdesse l’accesso ai mercati le risorse del Fondo sarebbero ovviamente insufficienti. Nel 1974 il prestito dell’Italia al Fondo fu di un miliardo di SDR (1,2 miliardi di dollari dell’epoca e meno di 6 miliardi di dollari attuali; il prestito del 1976 fu meno della metà). Ricordiamo che il fabbisogno lordo mensile del Tesoro italiano e’ attualmente di circa 40 miliardi di dollari al mese. Le risorse del Fondo sarebbero state insufficienti anche per i paesi europei piccoli se non fossero intervenute le risorse europee.

In termini più aggregati, anche dopo il raddoppio delle quote queste resterebbero molto al di sotto di quello che sarebbe giustificato dall’aumento delle dimensioni delle finanze mondiali. Anche dopo il raddoppio, il rapporto tra quote e GDP mondiale sarebbe del 40 percento più basso di quello del 1978. Il rapporto tra quote e flussi di capitale sarebbe del 50 percento più basso. Quello tra quote e pagamenti correnti e quote e afflussi di capitale verso i paesi emergenti sarebbe più basso di circa due terzi.

Il fabbisogno di risorse del Fondo e’ anche aumentato dalla tendenza (a torto o a ragione) di togliere un paese completamente dai mercati in caso di crisi. Ora, togliere un paese dai mercati è qualcosa che richiede molte risorse. Una volta non era così.

Questa scarsita’ di risorse del FMI rispetto alla economia internazionale ha diverse conseguenze.

Primo, continua a lasciare il Fondo alla dipendenza di prestiti che i paesi membri dovrebbero fare nel caso di necessità: il  Fondo Monetario non prende a prestito dai mercati anche se legalmente potrebbe farlo. Ma prende a prestito dai paesi membri sulla base di alcuni schemi predefiniti ma devono essere rinnovati periodicamente.

Secondo, comporta una maggiore prudenza da parte del Fondo nell’erogazione di prestiti al di sopra di un certo ammontare. Il Fondo ha definito da anni una politica di Exceptional Access per cui prestiti di dimensione superiore a un certo multiplo delle proprie quote ricevono condizioni particolari. Per esempio i tassi di interesse sono più elevati, per scoraggiarne l’uso prolungato. Inoltre i criteri per valutare la sostenibilità del debito diventano più stringenti. Il Fondo Monetario, per procedere a prestiti di importo elevato, deve concludere che il debito e’ sostenibile con elevata probabilità e se questo non e’ il caso occorre una operazione di ristrutturazione del debito per rendere il debito sostenibile con alta probabilità. Ma le soglie per qualificare un prestito come “di dimensione eccezionale” è basata su un multiplo delle quote. E se le quote si riducono rispetto alla dimensione dell’economia globale i prestiti diventano molto piu’ frequentemente di dimensioni eccezionali. Prendere a prestito 5- 10-20 volte l’importo della quota non è più così strano.

Questo, secondo me, ha anche portato il Fondo ad essere molto più favorevole di un tempo alla ristrutturazione del debito. Forse ci saranno anche altri motivi—la convinzione per esempio della necessità di combattere il moral hazard—ma il fatto sta che il Fondo considera ora la ristrutturazione del debito come parte del suo tipico toolkit. E’ inevitabile vista la scarsa dimensione delle proprie risorse.

E’ cambiata conseguentemente anche l’attitudine del Fondo verso i creditori recalcitranti. Fino ala fine degli anni ’80 il Fondo non poteva prestare a paesi che erano in arrears con creditori privati. Questa proibizione venne rimossa alla fine degli anni ’80 con l’introduzione della cosiddetta policy di “lending into arrears”. Restavano esclusi i prestiti ufficiali. Nel dicembre scorso, anche al fine di consentire la prosecuzione del programma con l’Ucraina nonostante la riluttanza della Russia a ristrutturare il proprio credito verso l’Ucraina, la policy del lending into arrears è ora stata estesa anche a creditori ufficiali.

Le discussioni al Fondo continuano intensamente su questi temi. Ieri e’ stata discusso al Board un importante cambiamento nelle condizione necessarie nel caso di exceptional access. Vi ho detto che l’accesso al credito del Fondo per dimensioni eccezionali (cinque volte la quota di un paese) e’ consentita solo se il debito e’ considerato  sostenibile con alta probabilità. C’era un’eccezione: che il paese fosse considerato sistemico, nel senso che l’assenza di un prestito dal Fondo avrebbe avuto conseguenze sistemiche per gli altri paesi. Questa eccezione e’ stata introdotta per consentire i prestiti alla Grecia nel 2010 ed e’ sempre stata molto controversa. E’ stata ora eliminata questa possibilità.

Si è però introdotta la possibilità di prestare anche in caso in cui un paese sia in una zona grigia di sostenibilità del debito (quindi di sostenibilità ma non con alta probabilità) in cui si richiederebbe però al paese di fare un reprofiling del debito. Anche dopo il reprofiling il paese resterebbe però in questa zona grigia. Il vantaggio per il Fondo sarebbe comunque che la preparazione necessaria per poi trasformare il reprofiling in una piena ristrutturazione del debito sarebbero comunque messi in piedi in occasione del reprofiling. Secondo me questo aumenterà la frequenza delle ristrutturazioni del debito in futuro.

C’e’ un’ultima implicazione della scarsità di risorse del Fondo e cioè la necessità che vedo crescente di cooperare con accordi di finanziamento regionale, come lo European Stability Mechanism nell’area dell’euro o l’Accordo di Chian Mai in Asia. Non saranno cooperazoni facili. L’esperienza di lavoro con la Troika non e’ stata facile anche dal punto puramente operativo e logistico e in termini di relazione con i paesi non europei del Fondo. Ma credo che il Fondo dovrà abituarsi a collaborare con questi accordi regionali.

Il che mi porta a parlare dei problemi di Governance del Fondo. L’approvazione della riforma delle quote del 2010 comporta non solo un raddoppio delle quote ma anche il rimescolamento delle quote con un aumento delle quote dei paesi emergenti a scapito di quelle dei paesi avanzati. La quota dei paesi emergenti e in via di sviluppo sale dal 39,5 al 42,3 percento dei voti. Quella degli avanzati scende dal 60,5 al 57,7 percento. Tutti i BRICS saranno nei primi 10 paesi per quota. Gli stati Uniti mantengono una quota superiore al 15 percento per cui mantengono il diritto di veto su un insieme di decisioni. I paese europei avanzati vedono la propria quota ridursi dal x al x percento . L’Italia scende dal 3,31 percento al 3,16 percento, mantenendo il settimo posto come quota.

C’è un’altra implicazione: deve essere completato il processo di riduzione del numero di direttori esecutivi detenuti dagli europei avanzati: c’è già stata già una riduzione di 1,65 posizioni. La si deve portare a due e dovremo vedere chi ci perde tra gli europei.

Al di là dei numeri specifici mi sembra chiaro che negli ultimi anni si siano manifestate alcune tendenze nella governace di fatto del Fondo:

L’influenza della Cina è chiaramente aumentata. Lo si è visto da come facile è stata la decisone di far entrare il RMB nel basket dell’SDR. Non c’e’ stata praticamente opposizione anche se gli indicatori rilevanti per valutare se il RMB fosse sufficientemente diffuso nelle transazioni economiche e finanziarie davano adito almeno a qualche margine di interpretazione. La situazione e’ cambiata radicalmente rispetto a 7-8 anni fa. Nel 2007 il Board del Fondo approvava una riforma della sorveglianza del Fondo sulle politiche di cambio che, fortemente voluta dalla amministrazione americana, comportava una maggior rigore nelle valutare paesi che, come la Cina, tenevano il cambio svalutato. La decisione fu presa con la sola opposizione della Cina. Non sarebbe possibile ora approvare nulla al Board con l’opposizione aperta della Cina. Fra l’altro la politica introdotto nel 2007 e’ stata essenzialmente abrogata dopo che la Cina per due anni aveva rifiutato di ricevere le missioni di sorveglianza del FMI.

Gli Stati Uniti mantengono, con il loro diritto di voto, una posizione unica nel Fondo Monetario. In termini grafici, il Fondo continua ad avere la sua sede a Washington e l’influenza della amministrazione americana continua a farsi sentire fortemente, compreso nelle linee di politica economica a livello globale (la necessità di sostenere la domanda aggregata che riflette l‘attuale colorazione politica della amministrazione americana). Altro fatto significativo: l’accordo raggiunto nel Congresso americano e cha ha sbloccato la riforma delle quote richiede alla amministrazione americana di inviare al congresso i documenti sui Board meeting relativi a prestiti di importo eccezionale, il che comporta che tali documenti dovrebbero essere presentati al parlamento americano ancora come documenti strettamente confidenziali, prima che siano quindi dati a qualunque altro ente non governativo. Questa presenza “ingombrante” degli  Stati Uniti non cambierebbe se Hillary Clinton fosse eletta come Presidente. La relazione resterebbe ottima.

L’Europa resta divisa  e tra tutti la Germania resta quella che, chiaramente, ha una posizione di favore, anche se le relazioni con la Gran Bretagna restano ottime. L’Italia sostiene la necessità di avere un unico direttore esecutivo a livello di area dell’euro. La Commissione ha di recente proposto informalmente un piano per introdurre una chair unica nel giro di 10 anni. Ma le opposizione da parte di tutti sono molto forti. 

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