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Global Outlook 2012: rapporto finale

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18/03/2013

Non si può dire che il 2012 sia stato un buon anno per l’economia mondiale. Al contrario, gli analisti economici hanno registrato un inasprimento della crisi economica che ha investito le economie più industrializzate sin dal 2008, e la conferma della transizione, ormai avvenuta, da crisi finanziaria a crisi economica, fino a crisi dei debiti sovrani, soprattutto per i paesi più esposti come l’Italia. Il nostro paese è stato lungamente protagonista – soprattutto in negativo – del dibattito economico internazionale, fino ad essere definito il “grande malato” dell’Europa. La debolezza della governance europea e dell’eurozona, i dati sempre più allarmanti sulla crescita interna e sulla produttività del lavoro e il debito ormai ben al di sopra dei duemila miliardi di euro fanno del nostro paese un obiettivo quasi scontato per i mercati finanziari internazionali.
Peraltro, il 2012 è stato un anno piuttosto allarmante anche per alcune delle economie emergenti, molte delle quali hanno subito un rallentamento significativo (tra tutti la crescita brasiliana, ferma al +0,9%). La natura interdipendente e interconnessa delle economie globali è stata ben colta dal recente World Economic Forum di Davos, che ha calcolato l’impatto potenziale sulla crescita di tre macro-rischi che oggi si stagliano all’orizzonte dell’economia mondiale: un inasprimento della crisi dell’Euro; il fiscal cliff statunitense, per ora solo rimandato e non politicamente risolto; e una brusca decelerazione della crescita dell’economia cinese.
Il problema più fisiologico e strutturale dell’Europa non è legato alla crisi, ma al fatto che essa è sempre meno presente nelle global value chains e sembra non reggere il passo di altre regioni del mondo. Questo tema è di particolare importanza per il nostro paese, avviluppato in una recessione resa ancor più difficilmente reversibile dai ritardi infrastrutturali, dal declino dell’istruzione universitaria, dall’assenza di politiche per attrarre competenze di alto livello dall’estero, dall’inesistenza di una politica industriale adatta al nostro tessuto imprenditoriale e dalla necessità di sviluppare una politica economico-industriale internazionale orientata alla creazione di valore attraverso partnership strategiche con paesi vicini e affini (Turchia) ed economie emergenti bisognose di tecnologie avanzate (Brasile, Russia, paesi del Golfo).
Per tornare a crescere, la qualità delle politiche e degli investimenti pubblici è più importante della quantità di risorse spesa. In linea con questa conclusione, il Rapporto Global Outlook 2012 contiene le seguenti raccomandazioni.
Innanzitutto, Italia ed Europa devono costruire il proprio modello di innovazione e sviluppo partendo dai propri punti di forza. Per molti motivi, la politica europea degli ultimi anni ha avuto il duplice e deplorevole effetto di deprimere la grande industria e soffocare le PMI innovative: tra le tante cause di questo problema, ormai riconosciuto ai più alti livelli istituzionali, vi è l’aver pensato che tra le due categorie di imprese vi fosse un rapporto di rivalità e incompatibilità, piuttosto che di necessario partenariato. Oggi, le politiche di smart specialization si basano sul ruolo dello stato come “facilitatore” di proficue interazioni tra università, ricerca e settore privato. Tale ruolo implica una sequenza precisa di iniziative a elevato valore aggiunto, che includa:
(i) Strategie di investimento pubblico e privato per rafforzare la dotazione infrastrutturale del nostro paese, in particolare per quanto riguarda la rete logistica e l’infrastruttura di banda larga.
(ii) Una chiara strategia per la riforma del sistema universitario.
(iii) Una visione multi-livello orientata alla “specializzazione intelligente” e al recupero della tradizione italiana dei distretti industriali, nonché delle potenzialità non sfruttate del settore del turismo.
(iv) Una politica di attrazione “intelligente” degli investimenti diretti esteri.
(v) La definizione di una migliore strategia di internazionalizzazione delle imprese nazionali, insieme a una migliore governance nelle politiche pubbliche a sostegno delle imprese che intendono internazionalizzarsi.
Quanto ai paesi di cui si è occupato il Global Outlook, all’Italia può convenire una diversificazione strategica, mirata a individuare situazioni “win-win” con paesi extra-europei. In particolare:

  • Rispetto ai paesi del Golfo, l’Italia può concorrere nella realizzazione di autostrade, ferrovie e altre infrastrutture su base competitiva, a patto di saper organizzare in modo pragmatico e sofisticato consorzi di grandi e piccole imprese che privilegino il nostro patrimonio tecnologico, mettendolo al servizio delle emergenti economie del Golfo. Per contro, i paesi del Golfo hanno risorse ingenti da investire nel nostro paese, e soprattutto nella riqualificazione e ammodernamento delle nostre grandi città: ma il recente accordo per la creazione di un fondo congiunto CDP-Qatar deve portare a una crescita tecnologica e culturale dell’Italia, non solo all’acquisto da parte di investitori esteri di asset strategici nazionali.
  • Vi è spazio per intensificare i rapporti commerciali tra Italia e paesi del Mediterraneo per quanto riguarda il settore manifatturiero e il settore portuale: in queste aree il nostro paese ha perduto competitività nei confronti di alcuni concorrenti europei come Germania e Francia, il che è singolare data la posizione privilegiata del nostro paese nel contesto del Mediterraneo.
  • Il sistema industriale italiano e quello della Turchia sono caratterizzati da una forte complementarietà, che però notevoli sinergie, a partire dal settore energetico per arrivare alla cooperazione tra PMI in una nuova politica distrettuale.
  • Italia e Brasile possono cooperare in modo intenso nei settori tecnologici e in quello dell’istruzione, ma è necessario che il nostro paese superi la chiusura del proprio sistema universitario.
  • Analogamente, l’Italia può “aggredire” meglio il mercato della Russia soprattutto nei settori energetici e settori a elevato contenuto tecnologico, ma a livello politico si impone un’azione tesa a superare la strategia protezionistica attuata dal governo russo nel procurement delle tecnologie.
  • I settori principali nei quali si profila un possibile miglioramento dei rapporti commerciali tra Italia e Cina sono: (i) la cooperazione nella ricerca e lo sviluppo, nel design e nel branding, attraverso la creazione di portafogli di IP congiunti e joint venture nelle energie rinnovabili, nell’high tech, nel settore bio-medicale, nelle tecnologie per il risparmio energetico, le smart grid, l’efficienza degli edifici e dei veicoli (elettrici); (ii) investimenti; (iii) commercio; e (iv) istruzione. Da ultimo, è necessario lavorare ad un “sistema Europa” per penetrare il mercato cinese: una maggiore collaborazione rafforzerebbe la presenza di ciascuno dei paesi UE nelle proprie “core competencies”, in una visione complementare di concorrenza e cooperazione (co-opetition) invece che concorrenza antagonistica.

Più in generale è necessario presentare all’estero un “modello Italia” compatto e non frammentato. Attualmente, in paesi come il Brasile e la Cina la difficoltà di fare sistema inibisce il potenziale delle PMI italiane, che spesso si trovano a soffrire la più organizzata concorrenza dei propri omologhi di altri paesi europei. Da questo punto di vista, azioni necessarie sono: (i) una misurazione constante dell’efficacia delle politiche pubbliche nei vari paesi di destinazione; e (ii) una migliore collaborazione pubblico-privato, ad esempio attraverso la delega a soggetti privati (camere di commercio, Confindustria, etc.) di funzioni attualmente svolte dal soggetto istituzionale.
Quanto alla governance interna, è emersa la necessità che l’Italia si doti di una attività di governo più trasparente e accountable, assumendo obiettivi di competitività di medio-lungo periodo il più possibile misurabili nel tempo, e intervenendo per ridurre i costi e i tempi della burocrazia per le nuove imprese e per quelle esistenti.

Il presente rapporto riporta le principali raccomandazioni di policy emerse dal dibattito organizzato nel corso del 2012 dall'Istituto Affari Internazionali nell'ambito del programma di politica economica internazionale Global Outlook. Presentato a Roma il 18 marzo 2013.

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