Elisabetta II, 70 anni di regno al servizio del suo popolo
La scomparsa di Elisabetta II, Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, è un evento storico di straordinaria importanza. La vicenda del sovrano più longevo della storia della Corona britannica, riconosciuta Regina da altri sedici Paesi del Commonwealth, trova posto con il suo lungo regno – 70 anni e 7 mesi – accanto a più di 50 sovrani e una decina di dinastie. La grande maggioranza dei britannici non ha mai vissuto un giorno della propria vita senza Elisabetta, una donna che a soli venticinque anni, incoronata nell’Abbazia di Westminster, sarebbe diventata protagonista di un’epoca definita “una nuova età elisabettiana”.
Il senso della Corona
Il 6 febbraio del 1952, 115 anni dopo l’incoronazione della regina Vittoria, una donna tornava a salire sul trono di Gran Bretagna, con un nome portato quattro secoli prima di lei in epoca Tudor, dalla celebre figlia di Enrico VIII. Elisabetta era la sesta donna a salire sul trono di Sant’Edoardo e quando di ritorno dal Kenya, richiamata a casa dalla morte di suo padre, i britannici cominciarono a conoscere la loro Regina, furono incantati dalla bellezza, dalla giovinezza, dalla regalità del portamento e dalla semplicità dei suoi gesti. Quella donna sarebbe risultata adatta a traghettare un Paese lungo una stagione di profonde trasformazioni, sociali ed economiche.
Non è stato semplice, tutt’altro. Durante il regno della Regina Vittoria, l’Union Flag sventolava su un quarto delle terre emerse e dei popoli del pianeta, mentre Elisabetta ha dovuto firmare i decreti di indipendenza di 38 colonie e assistere e governare alla graduale dissoluzione di un impero, poi trasformatosi in quella che è oggi, un’organizzazione intergovernativa di stati.
“Il ruolo della regina, come potere imponente, e di un’utilità incommensurabile. Senza la regina, l’attuale governo inglese cadrebbe e non potrebbe esistere. Spesso, quando si legge che la regina ha passeggiato per il grande prato di Windsor o che il principe di Galles ha assistito a un derby, si potrebbe pensare che si stia prestando un’attenzione eccessiva o un’importanza esagerata a delle inezie. Ma non è così ed è opportuno spiegarlo”. Con queste parole l’economista liberale Walter Bagehot, primo direttore della celebre rivista The Economist, introduceva nel suo English Constitution, ruolo e compiti della Corona nel Regno Unito. Il giornalista, mentore dell’affascinante età vittoriana, presentava le tre funzioni monarchiche regolative del sistema: la consultazione, l’incoraggiamento e l’avvertimento.
“Consigliare, incoraggiare, avvertire”
Il monarca non possiede alcun potere diretto o assoluto, eppure è la persona meglio informata del Regno Unito e tra le più informate dell’intero pianeta. Questo suo immenso bagaglio conoscitivo, ha permesso a Elisabetta II appunto di “consigliare, incoraggiare e avvertire”. Come notava l’intellettuale britannico Anthony Burgess “il potere della regina deriva dal suo sapere e dalla sua autorità morale”. Tutti i martedì, mentre il parlamento è in seduta, la regina riceveva il capo del governo a Buckingham Palace. Non poteva sostenere una determinata politica, né opporre un veto, ma ha potuto esprimere la propria opinione. Se dunque i Primi ministri hanno l’autorità, la regina ha avuto l’esperienza di chi per più di 70 anni ha letto ogni documento governativo e ha incontrato ogni leader mondiale. Un giorno, il Primo ministro David Cameron, dopo aver sollevato una determinata questione, si sentì rispondere da Elisabetta: “Sua Maestà ha risolto quel problema sette Primi ministri prima di lei”. I governi di uno Stato vanno e vengono, possono essere messi in minoranza, fatti cadere, l’istituzione monarchica rappresenta la continuità.
Tutto questo garantisce stabilità? Ne è convinto Richard Newbury, saggista e storico britannico: “La stabilità si basa sulla consapevolezza che in precedenza si è sempre adattata ai cambiamenti. Di fatto rappresenta la continuità che collega la discontinuità della politica partitica. Per quasi trecento anni ci sono stati il governo di Sua Maestà e l’opposizione di Sua Maestà. La politica riguarda il confronto e gli interessi particolari. Il Parlamento istituzionalizza la divisione e il conflitto. La Corona rappresenta l’unità nazionale e istituzionalizza la sua cooperazione e il suo consenso. È comprensibile, in quanto ognuno può capire e identificarsi con una famiglia sul trono. Il Parlamento presenta la vita politica come una guerra; la monarchia come un circolo familiare”.
Elisabetta II e le sfide del Novecento
“Per tutta la mia vita e con tutto il mio cuore cercherò di meritarmi la vostra fiducia”, prometteva Elisabetta nel giorno della sua incoronazione. Così è stato. I sudditi le riconoscono di aver regnato fedele al suo ruolo e al suo compito.
La sfida del regno di Elisabetta è consistita nel misurarsi con il continuo confronto modernità-tradizione e nel dover ripensare la Corona al servizio, prima di una popolazione che doveva ricostruirsi dopo le miserie e le angosce della guerra, poi di una generazione di individui che fu l’avanguardia in occidente di un’epoca di ribellione, contestazione e dissacrazione. Incarnando la tradizione e rafforzandola nell’adattarla e non nell’allontanarla dalla modernità, Elisabetta II ha vinto la sfida. La monarchia è salda e con lei la stabilità del regno. Ha superato difficili prove, traumi familiari, minacce belliche e politiche all’integrità del Regno Unito come il sanguinoso conflitto con l’IRA, la guerra delle Isole Falkland o il referendum sull’indipendenza della Scozia.
Mi piace in ultimo ricordare il pensiero del Presidente emerito Giorgio Napolitano nel corso di un’intervista concessami qualche anno fa. Parlammo di Sua Maestà da lui più volte incontrata. Al mio interrogativo su quanto l’istituzione monarchica potesse aver contribuito a rendere il Regno Unito un Paese mai retto da una dittatura e l’unico baluardo della democrazia in Europa, durante la Seconda Guerra Mondiale, rispondeva convinto che “questa solidità delle istituzioni liberali, questa saldezza democratica britannica, non possono essere separate da un ruolo positivo della monarchia”, per poi affermare: “Un dato fondamentale è che non c’è mai stato nessun ostacolo, in modo particolare nel corso del Novecento, il secolo a noi più vicino e quello che io ho vissuto e che conosco di più, che venisse frapposto dalla dinastia regnante a innovazioni politiche e, soprattutto, che venisse opposto al naturale alternarsi nel governo del paese, delle diverse forze politiche. La visita settimanale del primo ministro alla regina ha presidiato la libera competizione elettorale”.
Il momento di Carlo III
Ai britannici Elisabetta II mancherà terribilmente. La sua perdita è un grande shock vissuto con la speranza che il nuovo Re possa riuscire a raccogliere questa pesante eredità, così grande da spingere qualcuno ad affermare che oggi forse i sudditi di Sua Maestà sono più “elisabettiani” che monarchici.
Gli succede il figlio, Re Carlo III, che farà della salvaguardia dell’ambiente la peculiarità del suo regno, “determinante”, come dichiarò prima della Conferenza di Parigi, “per la sopravvivenza della nostra specie e di tutte quelle che condividono con noi l’esistenza del pianeta”. Che sovrano sarà? Il 2 giugno 1969 nella sua prima intervista televisiva a David Frost, famoso presentatore inglese, si diceva convinto che “il servizio alla patria significa concedersi al popolo, specialmente se sei ben accetto, ma anche quando non lo sei. Se senti di poter fare qualcosa, anche se il popolo pensa che il tuo intervento non sia utile, ma tu ti credi nel giusto, allora sei al servizio della patria”. God save the King.
Francesco De Leo