Print version

Israele-Palestina : può ripartire il processo di pace?

10/04/2013, Roma

La formazione di una leadership coraggiosa capace di guidare le parti durante il processo di pace; e l’adozione d’una visione prospettica che consenta di superare gli ostacoli e di affondare lo scetticismo dilagante, sociale e politico: sono due necessità emerse durante un animato confronto tra israeliani e palestinesi a Palazzo Rondinini, sede dell’Istituto Affari Internazionali.

L’esigenza di rilanciare le trattative per la fine del conflitto medio orientale ha animato tutto il dibattito “Israele/Palestina, può ripartire il processo di pace?” che lo IAI e il Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo) hanno organizzato il 10 aprile.

Aperta da Pierfrancesco Sacco, capo Unità analisi, programmazione e documentazione storico-diplomatica al Ministero degli Affari Esteri, la conferenza entra nel vivo con l’intervento di Janiki Cingoli, direttore del Cipmo, che considera la recente visita del presidente statunitense Barack Obama in Israele una tappa fondamentale per ricostruire il rapporto tra gli Usa e lo stato ebraico.

Nathalie Tocci, vicedirettore IAI, presiede e modera l’incontro, cui partecipano Ayala Hasson, analista politico-diplomatica al Canale 1 della tv israeliana, Sufyan Abu Zayda, già ministro dell’Autorità nazionale palestinese, docente nelle università di Birzeit e Al-Quds e direttore dell’Istituto di Gaza di Studi strategici e politici, Mark A. Heller, ricercatore e analista all’Istituto nazionale degli studi sulla sicurezza di Tel Aviv, Saman Khouri, co-presidente del Forum per la Pace delle Ong israeliane e palestinesi, Paola Caridi, giornalista e scrittrice, e Raffaella Del Sarto, docente all’Istituto Universitario Europeo di Firenze e alla Johns Hopkins University di Bologna.

Per Hasson solo leader veramente coraggiosi potranno riavviare i processi di pace, come desiderato dai cittadini israeliani, e migliorare così le condizioni socio-politico-economiche dei loro popoli. Zayda, invece, sottolinea quella che ritiene un’errata concezione geopolitica di fondo: per lui, sarebbe più corretto parlare di “popolo occupante” e “popolo sotto occupazione” che non di Israele e Palestina.

Heller, scettico nei confronti di un processo di pace che potrebbe restare incompleto e alimentare tentazioni alternative agli obiettivi oggi perseguiti, evidenzia lo sforzo di concepire una soluzione che soddisfi tutte le aspettative delle parti in campo.

Khouri rileva la difficoltà della comunità internazionale ad accompagnare la trattativa che dovrebbe portare alla soluzione dei due Stati, Israele e la Palestina, separati e ciascuno sicuro all’interno dei propri confini: l’Ue non pare in grado di facilitare il negoziato e, contemporaneamente, di esercitare pressione sulle parti per il rispetto degli impegni concordati.

La primaria necessità di ricreare un senso d’identità culturale in queste terre viene offuscata, secondo la Caridi, dalla continua diatriba sull’assegnazione delle terre che vanno dal Mediterraneo alla Giordania. Il mancato riconoscimento della Palestina da parte d’Israele sembra fare progressivamente sfumare la speranza, indicata nel 1993, dell’attuazione della soluzione dei due Stati. Lo sottolinea anche la Del Sarto, la quale espone il caso del Corpus Separatum di Gerusalemme come l’ennesimo ostacolo per la pace: la difficile divisione di un territorio che è in realtà condiviso tra israeliani e palestinesi.