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Il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) visto dall'interno

08/11/2013, Roma

Nonostante le difficoltà e la giovane età del Servizio europeo per l’azione esterna, esso ha ottenuto risultati non insignificanti: ha svolto un ruolo importante nel facilitare il dialogo tra Serbia e Kosovo; è presente, con l’Alto Rappresentante in prima linea, nel delicato negoziato sul nucleare iraniano; si è impegnato nei tentativi di riavviare il processo di pace israelo-palestinese e di sbloccare la crisi politico-istituzionale in atto in Egitto.

Lo dice Alfredo Conte, capo della divisione di pianificazione strategica del Servizio europeo per l’azione esterna, ospite del seminario tenutosi allo IAI sul tema della riforma del SEAE. Ad ascoltarlo, un pubblico di diplomatici ed esperti.

Conte ha sottolineato come il Servizio per la diplomazia europea, istituito nel 2011, fondendo al suo interno funzionari della Commissione europea, del segretariato del Consiglio e delle diplomazie nazionali, abbia avuto un percorso complesso, pieno di difficoltà e di sfide. Proprio alle sfide è dedicato il rapporto dell’Alto Rappresentante per la PESC, Catherine Ashton, che a parere del funzionario è da considerarsi una sorta di testamento, alla scadenza del suo mandato, per un servizio che deve essere già riformato per fare fronte alle crescenti tensioni del nostro tempo.

Tra i temi principali delle modifiche da apportare al SEAE c’è il rapporto tra il Servizio e la Commissione europea e il coordinamento con le diplomazie nazionali. Secondo Conte, il tempo è dalla parte di questa nascente diplomazia europea che sta formando progressivamente una propria cultura “comune” e che ha all’attivo funzionari dei vari paesi che hanno il compito di diffonderla non solo a Bruxelles, ma anche nelle capitali.

Nella misura in cui sarà possibile delineare la visione di un’Europa il cui servizio diplomatico non si fermi sulla soglia dei palazzi di Bruxelles ma raccolga anche i colleghi degli altri paesi, questo esercizio sarà stato compiuto con successo. Ma naturalmente si tratta di una prospettiva che per realizzarsi ha bisogno ancora di diverso tempo.

Intervenendo nel dibattito, l’ambasciatore Pietro Calamia ha sollevato la questione dei rapporti con le Nazioni Unite, chiedendosi se non sarebbe auspicabile la presenza dell’Unione europea, nella figura dell’Alto Rappresentante, come osservatore permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al fine di dare una prova fisica dell’esistenza di un’azione diplomatica comune europea.

L’ambasciatore Guido Lenzi, invece, ha espresso la sua opinione in merito alla struttura a pilastri dell’Unione europea. Abolita formalmente dal trattato di Lisbona, essa si manifesta ancora nelle dimensioni delle politiche estera e di difesa comuni, in cui il metodo intergovernativo non è stato superato - sostiene Lenzi - perché sono settori che non si prestano a una politica unica, anche se un rapporto più articolato non è da escludersi a priori.

Il seminario è stato introdotto dal presidente dello IAI, l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, che ha ricordato l’esperienza condivisa con Conte a Bruxelles, quando ancora il SEAE era in via di definizione sull’incerta base giuridica del trattato di Lisbona. La strada da percorrere è ancora lunga, ma è necessario, secondo Nelli Feroci, stabilire delle priorità e delle strategie soprattutto nell’ambito di una ripartizione delle competenze con la Commissione europea e del coordinamento tra le sedi SEAE e le ambasciate nazionali nei Paesi terzi.

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