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I costi della non-Europa della difesa

27/06/2013, Roma

Il progetto politico europeo può avere un futuro solo con una visione unitaria nei campi della sicurezza e difesa. Lo ha affermato Rinaldo Veri, presidente del Centro Alti Studi per la Difesa (Casd), aprendo un dibattito sulle prospettive del Consiglio europeo sulla difesa in programma a dicembre.

Il tema è stato affrontato durante il convegno “I costi della non-Europa della difesa” organizzato da Istituto Affari Internazionali e Centro Alti Studi per la Difesa a Roma, presso il Casd, il 27 giugno. Politici ed esperti di difesa e sicurezza hanno discusso il progetto di integrazione europea in questo ambito.

Fra i partecipanti, Marta Dassù, vice-ministro degli Esteri, Roberta Pinotti, sottosegretario alla Difesa, Fabrizio Cicchitto, presidente della Commissione Esteri della Camera, Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa del Senato, Salvatore Cicu, membro della Commissione Difesa della Camera, l’ambasciatore Alessandro Cortese, rappresentante dell’Italia nel Cops; e, inoltre, Luigi Binelli Mantelli, capo di Stato Maggiore della Difesa, Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, Inigo Lambertini, direttore centrale per l’internazionalizzazione delle imprese alla Farnesina, Alessandro Pansa, amministratore delegato di Finmeccanica. A introdurre il dibattito, moderato da Vincenzo Chevallard, consigliere del Centro Studi sul Federalismo, sono stati Roberto Palea, presidente del CSF, Vincenzo Camporini, vicepresidente dello IAI, e il professore Michele Nones, direttore dell’area sicurezza e difesa dello IAI.

In Italia, come negli altri Paesi europei, la difesa e la sicurezza hanno subito tagli profondi in seguito alla politica di austerità. Tra il 2005 e il 2012, il bilancio della difesa è stato ridotto da 200 à 170 miliardi di euro, il 15%. Inoltre, l’opinione pubblica e pure quella parlamentare prestano scarsa attenzione a questa voce della spesa pubblica, in parte perché la sicurezza europea è stata nel tempo garantita dalla Nato, con un effetto disincentivante sull’investimento nazionale in questo campo. Ma oggi, gli Stati-Uniti non hanno più l’intenzione di esercitare l’oneroso ruolo egemone finora spettato loro.

La situazione è giunta a un punto critico. I paesi europei, anche quelli più militarmente potenti, come la Francia e la Gran Bretagna, non sono in grado di sostenere autonomamente un conflitto e neppure un’intera missione militare internazionale e, dunque, di garantire la propria sicurezza. La soluzione è quella di unificare le strutture di difesa e sicurezza europee per ridurre le spese a livello nazionale e aumentare l’efficacia del dispositivo militare.

Tentativi per ampliare la collaborazione europea nel campo della difesa e della sicurezza sono stati attuati in quattro direzioni: militare, istituzionale, scientifico-tecnologica ed industriale. Ad esempio, voce per voce, con la creazione dell’unita militare multinazionale South Eastern European Brigade; con il trattato di Lisbona, che ha fra gli obiettivi di aumentare l’unitarietà, l’efficacia et la coerenza della politica estera e di sicurezza Ue; con il programma Horizon 2020 della Commissione europea, per sviluppare il trasferimento e l’interoperabilità delle tecnologie civili e militari; e con le direttive 2009/81 e 2009/43 che promuovono i trasferimenti dei prodotti dual-use e le procedure di acquisto intra Ue.

Tuttavia, queste collaborazioni restano insufficienti e mal sfruttate. Di fatto, sovranità nazionale e mercati nazionali rimangono le principali preoccupazioni dei Paesi europei, che temono di perdere quote di sovranità e d’influenza commerciale condividendo difesa e sicurezza europee. Eppure, le uniche soluzioni perché l’Europa resti una potenza internazionale sono la condivisione e l’integrazione. A tal fine, le priorità del Consiglio europeo sulla difesa dovrebbero essere: definire un quadro legale per gli investimenti, le iniziative industriali e i settori d’interesse di ogni paese; attualizzare le direttive europee, verificandone l’applicazione nei diversi Paesi; migliorare i rapporti tra agenzie nazionali e enti di ricerca; e, soprattutto, armonizzare le politiche estere europee.

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