Europa e Italia, le sfide dell'internazionalizzazione. Presentazione del rapporto Global Outlook 2014
L’Ue schiacciata dalle economie globali, l’Italia ‘malato d’Europa’, le imprese in affanno e l’euro troppo forte. E poi l’agenda digitale, gli obiettivi Europa 2020, le alternative al rigore: questo ed altri sono i temi del Global Outlook 2014, lo studio IAI presentato a Roma a un convegno che ha visto la partecipazione di esponenti dell’imprenditoria e della politica: Antonio Tajani, vice-presidente della Commissione europea e responsabile dell’industria e dell’imprenditoria, Carlo Calenda, vice-ministro dello sviluppo economico, Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, Giovanni Castellaneta, presidente della Sace, Alessandro Pansa, amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica. I lavori sono stati introdotti da Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello IAI, e da Costanza Bufalini, responsabile Unicredit degli affari europei. Il rapporto è stato presentato dal direttore del Global Outlook, Andrea Renda.
Quest’anno, il filo conduttore del dibattito è stato l’auspicio che l’Europa faccia fronte comune contro la crisi, affiancando alla strategia, da sola non risolutiva, dell’austerità un cammino comune di riforme e di rilancio del mercato interno e della competitività internazionale: “Questo è un anno molto delicato per l’Ue – osserva Andrea Renda -: si rinnova il Parlamento europeo, si rinnova la Commissione; e nessuno ha ancora capito bene come fare per tornare a crescere”.
Dal rapporto del Global Outlook, emerge “la necessità di un’Europa unita che sappia cambiare in corsa le proprie strategie e i propri obiettivi. C’è una scadenza molto importante, che tra l’altro cadrà proprio sulle spalle della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue: è la revisione della strategia Europa 2020. Bisognerà focalizzarsi su alcuni temi importanti, come le infrastrutture, l’istruzione e l’occupazione. Per tornare a crescere è importante restituire ai cittadini la prospettiva di una promessa di prosperità”.
“Sull’Italia –spiega sempre Renda -, la prima domanda che ci siamo fatti è se il nostro Paese sia malato d’Europa, o il malato dell’Europa. La seconda risposta è la più appropriata: l’Italia è il Paese dell’Ue che presenta in maniera più esacerbata i problemi del Continente europeo e ha urgentemente bisogno di una serie di iniezioni di riforme, dalle infrastrutture, alla scuola, all’abbattimento del costo del lavoro. Solo così riuscirà a colmare il gap con le altre democrazie europee e potrà sperare in uno sviluppo e in un rilancio della sua competitività”.
Competitività che è stato un tema molto dibattuto, soprattutto nell’ambito del commercio estero e dell’internazionalizzazione delle imprese, come sottolineato da Giovanni Castellaneta: “Il futuro dell’Europa deve convergere verso una sempre maggiore integrazione economica, politica e normativa, in modo tale da permettere alle imprese italiane di competere a livello internazionale e ad armi pari con le altre imprese europee. Cosa che oggi non succede purtroppo”: dello spread, non soffre solo la finanza, ma anche l’industria.
Parole queste che innescano il dibattito: “Occorrono urgentemente delle politiche industriali – sostiene Franco Bassanini – e una volta per tutte occorre fare chiarezza sul ruolo dello Stato nel mercato e nella concorrenza. Perché lo Stato non può stare a guardare, ma deve intervenire nelle questioni vitali per il Paese. Poi l’Ue ha al suo interno insopportabili disparità normative che non permettono la concorrenza tra imprese di Paesi diversi: bisogna perciò ridurre i differenziali che incidono sui costi delle imprese”.
“Qui bisognerebbe parlare d’Italia e non di Europa – afferma Alessandro Pansa –soprattutto quando parliamo di ‘politiche industriali’. Cosa sono le politiche industriali europee? La politica industriale non è altro che la sommatoria delle iniziative delle più importanti aziende nazionali spalleggiate dai propri governi. Ebbene per anni in Europa l’iniziativa industriale è stata competitiva –l’un Paese contro l’altro, ndr- e non collaborativa, per cui dobbiamo metterci in testa che nessuno verrà a salvarci da nostro inesorabile declino che ci accompagna dalla fine degli anni ‘80. E arrivato il momento di assumerci le nostre responsabilità: l’Europa ha già perso due delle tre più importanti sfide del mercato globale: il capitale e il lavoro. Per cui non ci resta che puntare sul terzo fattore, che è la tecnologia. L’Italia deve colmare il gap tecnologico rispetto al resto dell’Ue; e lo Stato deve scegliere su quali settori puntare nei prossimi 20 anni. Perché non è possibile salvare tutti; e non sono sicuro che proteggere tutte le piccole e medie imprese sia una cosa buona, a meno che queste non facciano rete fondendosi”.
Per Carlo Calenda, l’Europa deve decidere cosa vuole essere: “se vuole spingere sull’acceleratore della crescita, o vuole continuare con questa politica di austerità, che non pagan per tutta una parte dell’Unione. Penso all’Italia e all’euro, che a questi livelli è un danno per la nostra economia fatta soprattutto di esportazioni. Penso ai due modelli imprenditoriali presenti oggi in Europa: un nord che ha, negli anni, delocalizzato la sua produzione e un centro-sud che lo ha fatto in misura minore. Oggi dobbiamo cercare di tenere insieme le ragioni di questi due modelli di sviluppo, perché le occasioni in questo mercato globale sono a portata di mano”.
E un filo di speranza emerge anche dalle parole di Antonio Tajani: “L’Italia in Europa è un giocatore di serie A. Un campione che negli ultimi anni ha avuto delle prestazioni non proprio brillantissime, ma la classe e il talento vengono sempre fuori. Dobbiamo allenarci duramente, come fanno i campioni prima dell’incontro decisivo”.
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