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Saluto allo IAI del Presidente Ciampi

Cari amici dello IAI, Signore e Signori,

la Vostra presenza a questo convegno è segno, innanzitutto, dell'interesse per i temi che saranno affrontati nel corso delle due giornate di lavori; testimonia e sottolinea, mi si passi l'espressione, la solennità della circostanza che Vi vede riuniti. Cinquant'anni sono un traguardo ragguardevole per una istituzione culturale; longevità di un organismo sano e vitale che ha in sé i cromosomi ideali di Altiero Spinelli; irrobustitosi nel tempo grazie al concorso formidabile di personalità di grande levatura intellettuale e di notevole esperienza nel campo delle relazioni internazionali.

Per questo mancare all'appuntamento di oggi è per me motivo di rammarico. Quale Presidente onorario dell'Istituto ritengo doveroso formulare l'augurio più caloroso per la significativa ricorrenza. Da amico ed estimatore di lungo corso desidero, almeno idealmente, essere - sentirmi - oggi presente in segno di apprezzamento e di gratitudine per il lavoro svolto dall'Istituto nel suo mezzo secolo di vita; di alta considerazione per il contributo in più modi fornito, fin dalle origini, per "facilitare una partecipazione al dialogo che si intreccia fra studiosi e politici di tutti i paesi sugli argomenti della politica internazionale".

Non è questa la sede per fare bilanci; non posso, tuttavia, impedirmi di andare col pensiero alle origini dell'Istituto, alla sua "genesi", che ho ripercorso e approfondito di recente attraverso la lettura di un assai ben documentato saggio volto a mettere in luce il ruolo di Spinelli nella nascita dello IAI. E proprio questa ricostruzione storica, la ricchezza della documentazione su cui si basa mi inducono a sottolineare un aspetto che, nella sua peculiarità, considero fondamentale nell'attività dello IAI: la formazione, lato sensu. Negli anni Sessanta, il disegno sotteso alla creazione dell'Istituto era quello di fornire al Paese, che ne era abbastanza sguarnito, "una élite giovane, preparata e conoscitrice della dimensione internazionale". Il mutato contesto storico non ha fatto venir meno l'originaria vocazione.

Una azione - quella di formare una classe dirigente - che oggi come non mai si presenta con carattere cogente. Una funzione, negli ultimi decenni, colpevolmente trascurata in ogni ambito a essa istituzionalmente e culturalmente preposto, a cominciare dalla Scuola.

Cari amici, venticinque anni or sono, nonostante i molti impegni richiestimi dall'ufficio di Governatore della Banca d'Italia non mancai l'appuntamento con lo IAI, che celebrava un quarto di secolo di vita. Ricordo la cordialità di in incontro conviviale e l'attenzione riservata al mio intervento, nel corso del quale riferii dei progressi segnati dal processo di unificazione monetaria europea, che conosceva in quel torno di tempo una significativa accelerazione: pochi giorni prima del nostro incontro, il Comitato dei Governatori della CEE aveva approvato la bozza di statuto del Sistema europeo di banche centrali, progenitore della Banca centrale europea. Un intervento, il mio, che voleva essere un contributo "fresco" al tema del convegno Europa 90: verso un nuovo ordine internazionale. Il nostro comune stato d'animo poteva dirsi improntato a un ragionevole ottimismo; senza nascondere e nasconderci le difficoltà, che pure c'erano e non di poco conto, mi sentivo di chiosare che “forse neanche Spinelli avrebbe immaginato un così rapido progresso sia sul fronte dell'integrazione economica e monetaria della Comunità, sia nel superamento della contrapposizione tra i blocchi, che il continente europeo aveva ereditato dalla seconda guerra mondiale".

Certo, la direzione di marcia programmaticamente enunciata dal titolo del convegno sembra oggi segnare il passo, ma nel frattempo è cambiato il mondo; molto di ciò che aveva fondamento allora ha perso in gran parte validità.

Credo, tuttavia, di poter concludere questo breve indirizzo di saluto con le stesse parole con cui terminavo quel mio intervento riferendomi agli ostacoli che si frapponevano al cammino dell'unione fra i popoli dell'Europa; all’avanzamento verso l’unione politica, di cui quella monetaria era solo una faccia.

"Chi esita ad avviare un processo in attesa di avere in anticipo la garanzia che esso si svolgerà senza difficoltà, senza rischi, è condannato all'immobilismo. Questa non è la scelta di chi vuole l'Europa".

Oggi, resi consapevoli dalle vicende, dai rivolgimenti degli ultimi venticinque anni, non possiamo non riaffermare che l’immobilismo preclude il compimento dell’Europa quale era nelle aspirazioni dei Padri fondatori; apre la strada al rinascere di sentimenti sanzionati dalla Storia. L’antidoto sta nel coraggio di avere idee nuove, sostenute da statisti lungimiranti, intraprendenti, all’altezza di coloro che per primi credettero e si impegnarono per un destino comune del Vecchio Continente.

Un caloroso augurio di buon lavoro e a tutti i presenti un cordiale saluto.

Carlo Azeglio Ciampi

Roma, Palazzo Giustiniani, 13 novembre 2015